Universo, Essere, Dio. Nuove prospettive filosofiche della cosmologia contemporanea


INTRODUZIONE
1 Il bambino e l’immenso
Da bambino avevo un’immagine molto personale dell’universo. Allora, non avevo minimamente idea di cosa fossero la filosofia né, tantomeno, la cosmologia. Come tutti i bambini, quindi, mi divertivo a spingere la fantasia verso rappresentazioni delle cose che ben poco avevano di scientifico ma che possedevano una sorta di “pregnanza metaforica” (allora non l’avrei di certo definita così, ma, si sa, crescendo i concetti occupano il posto delle immagini). Tra queste immagini, ce n’era una, che possedeva un fascino particolare: la “mia” immagine dell’Universo. Il nostro sistema solare era, in realtà, con il sole, i suoi pianeti, le sue orbite, un atomo. Quest’atomo formava insieme con altri atomi (altri sistemi stellari) una molecola (la nostra Galassia), e le Galassie-molecole formavano nel loro insieme un organismo. Un individuo. L’universo, come lo vedevo, era, in realtà, una persona umana. Dopo di che, osservavo meravigliato le mie mani, e vedovo le molecole-galassie che la componevano, e vedevo i sistemi solari-atomi, e i pianeti (le particelle sub-atomiche). E i pianeti erano abitati da esseri umani che a loro volta erano composti da atomi-sistemi solari e cosi via in un procedere senza fine di scatole cinesi. Questa, ovviamente, è una fantasia di bambino. La scienza è un’altra cosa. La cosmologia, quale scienza e pertanto avente un oggetto particolare di studio con un metodo appropriato d’indagine, offre spiegazioni razionali della struttura dell’universo. La scienza è un modo della conoscenza umana ma è il modo per eccellenza del conoscere del pensiero occidentale moderno e contemporaneo.
2. La spiegazione o la metafora?
La spiegazione e la metafora sono due attività mentali differenti. La spiegazione scientifica non può ammettere nel suo statuto gnoseologico la metafora e, per contro, la metafora non può divenire scientifica (nel qual caso l’una e l’altra perderebbero la loro “essenza comunicativa”). Ma, come vedremo, l’oggetto dell’indagine cosmologica è alquanto particolare: la totalità dello spazio tempo. Le domande fondamentali che la cosmologia si pone intorno a questa totalità necessitano di risposte che esulano la spiegazione scientifica. Per certe domande le risposte possibili sono razionalmente non scientifiche. La spiegazione cede il posto alla congettura. Ma dalla congettura alla metafora il passo è breve. Ad alcune domande intorno all’universo non si può fare altro che rispondere con ipotesi. Ma l’ipotesi è una tappa del procedimento scientifico, non ne è la conclusione! In questi pochi periodi introduttivi dell’argomento cosmologico che affronteremo nel corso di questa tesi ho accennato a dei concetti come quello di razionalità, conoscenza, realtà e in particolare quello di scienza, che rappresentano l’essenza della dimensione culturale occidentale. Volontariamente ne ho tralasciato uno che rientra a pieno titolo nel gruppo ma che, a motivo della sua importanza, merita un’attenzione particolare: la filosofia.
3. Dalla filosofia, alla scienza, alla filosofia
Alcuni pensatori contemporanei affermano con vigore che la filosofia o, meglio, la metafisica, non abbia più alcunché da dire, che sia priva di senso (o addirittura che non ne abbia mai avuto) e quindi debba essere relegata in uno spazio privo di significato euristico. Come una madre dimenticata dai figli, la metafisica è stata abbandonata dalla sua creatura: la struttura scientifico-tecnica del mondo; quella struttura della quale la cosmologia contemporanea rappresenta un elemento di primissimo piano. E se la scienza è divenuta così la forma principale di conoscenza del mondo, la cosmologia, ad un attento esame, ci ricorda, più di qualsiasi altra scienza particolare, che i figli non potranno mai recidere del tutto quel cordone ombelicale che li lega alla madre e che, anzi, sovente i figli sono talmente simili ad uno dei genitori da sembrarne identici. Questo è proprio il caso della madre-metafisica con la figlia-cosmologia. E’ possibile che la metafisica riesca a dare delle risposte, se non assolutamente incontrovertibili, almeno significative a quelle ipotesi, congetture e metafore che la scienza non riesce a decifrare.
4. Il reale è razionale?
A questo punto abbiamo focalizzato la questione centrale che affronterà questa tesi: i rapporti stretti e saldi che intercorrono tra la metafisica, la scienza e la cosmologia. E’ arrivato così il momento di azzardare una considerazione che aprirà l’orizzonte del nostro intero discorso: Hegel affermò che il reale è razionale e il razionale è reale. L’Universo è senz’altro reale; ma è razionale? Come si chiede Paul Davies, uno dei massimi cosmologi contemporanei: ”Fino a che punto possono arrivare le argomentazioni razionali? Possiamo davvero sperare di rispondere alle domande fondamentali dell’esistenza attraverso la scienza e l’indagine razionale, oppure ci imbatteremo sempre, prima o poi, in qualche mistero impenetrabile? E, comunque, in che cosa consiste la razionalità umana?”  Quando ci porremo la domanda fondamentale il razionale forse non sarà più cosi reale e il reale un po’ meno “scientifico”. Questo significa, come vedremo meglio in seguito, che il fondamento dell’essere potrebbe non essere la ragione, ma il mistero “scientifico” della sua inconoscibilità. “Usiamo la parola razionale per intendere  «in conformità alla ragione», così la mia domanda è se, o fino a che punto, il mondo sia razionale. La scienza è basata sulla speranza che il mondo sia razionale in tutti i suoi aspetti osservabili. È possibile che vi siano aspetti della realtà che vanno oltre il potere del ragionamento umano […] Così dobbiamo essere consapevoli della possibilità che esistano cose la cui spiegazione non potremmo mai comprendere, e magari altre che non hanno spiegazione alcuna.”  Intanto guardo le mie mani e vedo gli atomi-sistemi-solari che…….e Dio?
Cap. 1
L’EVIDENZA ORIGINARIA
1.1 Il problema dei problemi
Qual’ è l’evidenza originaria? Qual’ è la verità assolutamente innegabile che non può essere negata? La risposta è, senza indugi né preamboli, che qualcosa è. La semplicità di questa risposta può sconcertare, ma in realtà essa è il fondamento di ogni Possibile. Che cosa sia questo “qualcosa che è” è un problema successivo, derivato. Il che cosa sia “questo qualcosa” viene dopo il constatare che “questo qualcosa” è. Che il “qualcosa che è” sia di volta in volta stato essenzializzato con acqua, Àpeiron, Numero, Natura, divenire, Idea, Sostanza, Pensiero, Spirito, Volontà, Materia, Ente, Mondo, Inconscio, Realtà virtuale, Energia è un prodotto intellettuale conseguente all’evidenza originaria. Al di là delle risposte sul che cosa sia questo “qualcosa che è” che il pensiero umano ha dato nel corso dell’evoluzione culturale occidentale; al di là dei sistemi, delle strutture, delle ideologie che a mano a mano si sono manifestate per dare una risposta a questa domanda derivata, la Verità che “qualcosa è” è gia sempre presente. Che ci sia qualcosa piuttosto che nulla è ciò di cui non si può assolutamente dubitare. Questo qualcosa potrebbe essere diverso da come esso si manifesta al pensiero, addirittura potrebbe essere illusione, fantasma, imbroglio. Ma illusione, fantasma, imbroglio sono pur sempre diversi dal nulla. “Qualcosa è” perché è diverso dal nulla. La difficoltà del pensiero umano nel trovare una risposta a questa domanda derivata proviene dal fatto che il qualcosa che è sì manifesta all’esperienza in modo molteplice, differenziato, plurale e diveniente. Ma il pensiero, nel quale l’esperienza del molteplice viene unificata dalla coscienza ("il qualcosa che è" è molteplice o si manifesta tale) dice anche che oltre il “qualcosa che è” non vi è nulla. C’è qualcosa ma non il nulla. Il nulla non è ma qualcosa è. Questo qualcosa differenziato non ha nulla al di fuori di se stesso. Questo “qualcosa che è” è una totalità unitaria.
1.2 La domanda fondamentale
Ed eccoci arrivati al nocciolo della questione! Vi è una domanda, “La Domanda Fondamentale”, che precede quella derivata sul che cosa sia in realtà questo “qualcosa che è molteplice e unitario”: Perché qualcosa che è  piuttosto che il nulla? Questa è la domanda assoluta che la metafisica occidentale ha sempre avuto innanzi agli occhi ed è stata espressa in tutta la sua assolutezza da Martin Heidegger: “ Perché, infine, l’essente e non piuttosto niente?”
La metafisica occidentale ha identificato questo qualcosa che è con il concetto di ente (o di essere). Il problema del perché della totalità delle cose (dell’essere) è stato via via dimenticato, cancellato, reso insensato o addirittura insignificante. La struttura scientifica del sapere umano ha abbandonato da tempo il problema dei problemi occupandosi di spiegare cosa sia L’essere. L’ontologia quale scienza dell’essere in quanto essere è, quindi, soltanto un lontano ricordo.
1.3 Verso una metacosmologia?
Ma siamo proprio sicuri che questo domandare radicale sia proprio sparito dal pensiero umano? Non potrebbe darsi che questa domanda così assoluta non si nasconda in tutto il suo significato ontologico all’interno di un domandare formalmente scientifico e dunque teoricamente anti-metafisico? Se la struttura scientifica del mondo si occupa di spiegare i molteplici aspetti della realtà essa non dovrebbe occuparsi della realtà nella sua totalità! Ma c’è una scienza tra le scienze che ha per oggetto una totalità: la Cosmologia. La domanda intorno all’essere è insensata? Non ha senso parlare dell’essere? Ma l’oggetto della cosmologia non è forse la totalità dello spazio-tempo? E se l’Essere fosse Lo spazio-tempo, l’Universo? Chiedersi perché l’essere e non il nulla non equivale forse a chiedersi perché l’universo e non il nulla? L’ontologia e la cosmologia contemporanea sono molto più vicine di quanto si possa immaginare.  È arrivato, forse, il momento di domandarci: è possibile andare verso una Metacosmologia? Cerchiamo dunque di fare un po’ di chiarezza e procediamo con ordine ricordandoci sempre “perché l’universo e non il nulla?”
Cap. 2
COSMOLOGIA E METAFISICA
2.1 Che cos’è L’Universo
E’ buona norma metodologica, quando si affronta un argomento scientifico, iniziarne la trattazione fornendone una definizione concettuale il più possibile sintetica. In questo senso è opportuno dare una significazione dizionariale e semanticamente meno ampia in modo tale da focalizzarne immediatamente l’oggetto d’analisi. In questo senso, alla domanda “ Che cos’ la cosmologia?” mi permetto di rispondere utilizzando la definizione che ne da John Gribbin all’interno della sua “Enciclopedia di astronomia e cosmologia”: la cosmologia è lo studio dell’universo nel suo insieme, della sua origine e della sua evoluzione.
2.2 L’Universo diveniente
Questa definizione oltre a chiarirci immediatamente qual è l’oggetto dell’indagine cosmologica, ovvero l’universo nel suo insieme, ci fornisce la caratterizzazione principale che distingue la cosmologia moderna e contemporanea dalla cosmologia pre-moderna o antica. La presenza, nella definizione sopra citata, dell’origine e dell’evoluzione dell’universo come oggetto d’investigazione della cosmologia, afferma esplicitamente che l’universo ha avuto un’origine e si sta evolvendo. Ma che l’universo abbia avuto un’origine e che abbia tuttora un’evoluzione, non è qualcosa di scontato né tanto meno di evidente, ma una delle scoperte più importanti del xx secolo, una vera e propria rivoluzione copernicana all’interno del mondo scientifico.
Senza ombra di dubbio qualunque cosmologo o astrofisico di inizio novecento avrebbe risposto alla domanda che ci siamo posti in questo modo: la cosmologia è lo studio dell’universo nel suo insieme. Punto e basta. Il fatto che l’universo potesse avere avuto un inizio nel tempo era considerato come una vera e propria bruttura filosofica (o un’ipotesi esclusivamente di tipo religioso).
E’ sempre Gribbin a sottolineare quanto importante sia stato questo cambiamento paradigmatico per la scienza non solo cosmologica: “ La scoperta chiave dell’intera cosmologia è che l’universo che vediamo intorno a noi si sta effettivamente evolvendo, che oggi e molto diverso da come è stato in passato, e che ha avuto un’origine ben definita in un certo momento del passato.”
Le tranquillizzanti condizioni filosoficamente aprioristiche dell’infinità, dell’eternità, dell’immutabilità dell’universo lasciavano il posto al più preoccupante, ma altrettanto filosofico problema dell’Origine, infatti, l’astronomo John Barrow pone il problema dell’Origine direttamente nel titolo della suo libro “Le origini dell’universo” sottolineando anch’egli come “fino ai primi anni del xx secolo, né i filosofi né gli astronomi avevano mai messo in dubbio l’idea che esistesse uno spazio fisso sullo sfondo del quale si muovevano le stelle, i pianeti, e tutti gli altri corpi celesti”  ma che nel 1929 “Hubble aveva scoperto l’espansione dell’universo. Al posto di uno sfondo immutabile entro il quale noi potessimo seguire i moti locali dei pianeti e delle stelle, egli scoprì che l’universo si trovava in uno stato dinamico.”
Anche un fisico italiano, Silvio Bergia, evidenzia l’importanza di questa rivoluzione scientifica che traspare già dal titolo di un suo saggio “Dal cosmo immutabile all’universo in evoluzione”  e che nella premessa del suo libro afferma: “L’idea assolutamente nuova che questa cosmologia ha introdotto è quella di un universo che ha avuto un inizio, e che è destinato ad avere una fine, anche se non ci è ancora dato di sapere quale sia la natura di quest’ultima, di un universo che evolve dal punto di vista dinamico, termico e strutturale.”
Lo stesso Sthephen Hawking, probabilmente il massimo cosmologo teorico vivente, nel suo best-seller del 1988 intitolato “Dal big bang ai buchi neri” che per la prima volta ha avvicinato il grande pubblico al mondo della cosmologia, afferma che “ la vecchia idea di un universo essenzialmente immutabile che potrebbe esistere da sempre, fu sostituita dalla nozione di un universo dinamico, in espansione, che sembrava avere avuto inizio in un tempo finito in passato, e che potrebbe durare per un tempo finito in futuro.”
Ora è chiaro che un tale rovesciamento di prospettiva abbia condotto anche e, soprattutto, ad una nuova interpretazione, da parte del pensiero filosofico e religioso, del posto attribuito all’uomo in un universo che, da sfondo eterno ed immutabile per un divenire locale (della dimensione terrestre), si è trasformato in scenario dinamico in evoluzione.
Anche l’ultimo ente eterno veniva soggiogato alle leggi del divenire, della nascita e della morte. Era talmente distante l’idea di un universo “storicizzato” da modificare, non solo, il modello di universo degli scienziati dell’epoca, ma anche, più in seguito, l’immaginario collettivo cancellando ogni speranza in qualunque forma di eternità, infatti: ”È un indizio interessante sul clima di pensiero generale dominante prima del xx secolo che nessuno abbia mai suggerito che l’universo sia in espansione o in contrazione. Tutti accettavano l’idea che l’universo o fosse esistito da sempre in uno stato sempre uguale o che fosse stato creato, in un tempo finito in passato, più o meno come lo osserviamo oggi. In parte tale credenza in un universo immutabile era forse dovuta all’inclinazione della gente a credere in verità eterne…”
 2.3 Il ritorno della metafisica
In questo modo però sorge una domanda fondamentale per il nostro studio: se lo spazio e il tempo hanno avuto un’origine, da dove vengono? La domanda per eccellenza della metafisica ritorna ogni volta che si vuol parlare del tutto. Ma in ciò si manifesta una contraddizione tra i principi fondanti dell’epistemologia scientifica e della filosofia, infatti, la cosmologia “ambisce a trattare l’universo come oggetto di analisi scientifica. Ma dall’epoca in cui maturò l’orgogliosa separazione delle scienze sperimentali, forti del loro metodo positivo, dalla speculazione generalmente filosofica, si può dire abbia imperato, come aspetto di quel metodo, uno dei più rigorosi comandamenti del catechismo scientifico: non parlare del tutto.”
2.4 Il ritorno dell’ontologia
La questione centrale che dobbiamo focalizzare è che il concetto di Universo ha una valenza semantica quasi assoluta e che si avvicina al più tradizionale problema ontologico della semantizzazione dell’Essere; se l’essere viene tradizionalmente definito come tutto ciò che non è nulla, questa definizione è applicabilissima al concetto di universo.
Fondamentalmente dunque l’Universo è un concetto tipicamente filosofico imprestato all’epistemologia scientifica come spiegano Luigi Accardi e Guido Rizzi affermando che il concetto di universo è “…se accettiamo – a livello di convenzione linguistica – la proposta di definire la filosofia come quel particolare atteggiamento intellettuale che si occupa della “problematizzazione dell’Intero, allora l’Universo indagato dalla cosmologia si rivela un tipico concetto filosofico.”
Ciò significa che la scienza si occuperebbe di un oggetto tipicamente filosofico con l’unica differenza di affrontarlo con paradigmi metodologici tipicamente scientifici, ovverosia attraverso l’applicazione del metodo sperimentale induttivo e del metodo razionale deduttivo. In questo modo, dunque, se immaginiamo, metaforicamente, la struttura scientifica come una piramide, alla cima della stessa non possiamo fare altro che posizionare la cosmologia contemporanea proprio per la peculiarità assoluta dell’oggetto che affronta, infatti, “La cosmologia è al centro del sapere contemporaneo. Come scienza, obbedisce alle esigenze di qualunque altro settore scientifico. Occupa però un posto particolare dal momento che studia l’universo nel suo insieme. La sua specificità viene dal suo oggetto: tutto ciò che concerne l’esperienza, in quanto forma un cosmo, è un tutto singolare, unificato e ordinato.”
 A questo punto, però, è meglio soffermarci un momento per ricordare che, se questa è la situazione reale della cosmologia contemporanea, alcune considerazioni sulla legittimità di considerare l’universo come oggetto d’indagine scientifica è opportuno renderle esplicite.
2.5 L’Universo: un oggetto o un’idea?
L’universo, è dunque chiaro, non è un oggetto tra gli oggetti, un ente tra gli enti, ma è la totalità degli enti (più avanti vedremo come possa anche definirsi come Essere). In un certo qual modo la cosmologia teorica sembra eludere il precetto Kantiano dell’impossibilità gnoseologica di superare i limiti trascendentali della ragione per considerare un’idea (l’Universo, al pari delle altre due idee regolative: Anima, e Dio) come oggetto d’esperienza.
In altre parole, l’universo può essere indagato scientificamente, o deve rimanere un concetto esclusivamente metafisico? Utilizzando un'espressione popperiana può essere sottoposto alla falsificazione del metodo scientifico sperimentale? Se Kant ha decretato l’impossibilità della metafisica di conoscere l’essere, la cosmologia può legittimamente sperare di conoscere l’universo?
Come dice Jhon D. Barrow: ”Nelle scienze locali è possibile raccogliere virtualmente ogni dato che si desidera, realizzare ogni esperimento, e (cosa più importante di tutte) avere il controllo su possibili fonti di interferenza introdotte dalla preparazione dell’esperimento o dal procedimento stesso di raccolta delle informazioni. Gli esperimenti possono essere ripetuti in modo differente. In astronomia non è più così: non possiamo fare esperimenti con l’universo; non possiamo servirci di quello che ci viene offerto.”
Dopo Galileo le scienze si sono occupate di analizzare le diverse ontologie regionali cercando di spiegare e descrivere l’essere abbandonando l’ideale metafisico di dargli un fondamento. Con la cosmologia il problema del fondamento risorge. La comprensione dell’universo necessità di un fondamento. Il Tutto deve essere fondato.
Oggi la scienza è convinta di poter affrontare “scientificamente” l’essere nella sua totalità ma ciò comporta delle riflessioni, infatti: ” dove le cose si complicano è al livello della cosmologia teorica. E’ la cosmologia teorica che ambisce, fin dall’inizio, a occuparsi dell’universo come un tutto. Alcuni filosofi vedono in questo una difficoltà insormontabile, tale cioè da mettere in dubbio la possibilità di una cosmologia interamente scientifica. Ma sono sovente gli stessi cosmologi teorici ad individuare, nella loro impresa, un problema di metodo non dissimile sovente da quello segnalato dai filosofi.”
Detto altrimenti, è metodologicamente corretto ritenere l’universo un oggetto sperimentabile scientificamente oppure sarebbe lecito che “…. A differenza di qualsiasi oggetto indagato dalla fisica, e anche dall’astrofisica, l’Universo inteso come la totalità degli oggetti che possono – in linea di principio – cadere sotto il dominio dell’esperienza non può costituire esso stesso oggetto d’esperienza: si tratta, dunque, di un concetto, che designa l’insieme di tutti gli oggetti osservati o osservabili insieme con le loro mutue relazioni”?
Il problema sta proprio nel comprendere che il Cosmo è il tutto, la totalità dello spazio, del tempo, della materia e dell’energia; quella totalità che contiene al suo interno quel pianeta chiamato Terra sul quale vive una specie biologica che possiede la facoltà di pensare il tutto, ovvero l’universo. Il pensiero stesso è contenuto nell’universo che viene pensato. Tutto è contenuto nell’universo e l’universo è il contenitore di tutto. (È sottointeso che questo lavoro si basa su una assunzione implicita di una prospettiva realista o meglio, di realismo critico. In questo senso vi è un’accettazione della critica della ragione kantiana ma un rifiuto dei suoi esiti idealistici. Ovvero il pensiero viene dopo l’essere. Come vedremo la cosmologia, ha posizioni contrastanti sull’argomento: da una parte conferma insieme alle altre scienze, che l’universo era, per un tempo immenso, anche quando il pensiero non era; dall’altra, con l’introduzione del principio antropico, introduce una fondazione relativamente idealistica della natura dell’universo.)
Come dice quasi poeticamente Emanuele Severino: “Eppure queste cose e ogni altra –altri mondi e altri dei- si trovano insieme in un’unica regione, costituita appunto dalla totalità delle cose: essa contiene il presente, il passato, il futuro, le cose visibili e quelle invisibili, corporee e incorporee, il mondo umano e quello divino, le cose reali e quelle possibili, i sogni, le fantasie, le illusioni e la veglia, il contatto con la realtà, le delusioni; ogni vicenda di mondi e universi, ogni nostra speranza.”
2.6 L ’epistemé è morta?
Il tutto ritorna alla ribalta diventando l’oggetto di studio di una scienza che fa parte della struttura scientifica del pensiero contemporaneo e che si differenzia dalla filosofia proprio per aver negato alla categoria della “totalità” quel valore gnoseologico che la metafisica, come epistéme, le attribuiva.  In realtà il pensiero filosofico nacque in Grecia proprio quando la necessità ontologica del tutto si presentò come ineludibilità del Lògos; “Nei primi pensatori greci l’evocazione del senso inaudito della verità è insieme (e non può non essere) un rivolgersi alla Totalità delle cose. Tuttavia, anche dal punto di vista storico, questa affermazione può essere rovesciata e si può affermare che la filosofia nasce quando, nel VI secolo a.C., i pensatori greci si rivolgono per la prima volta alla Totalità delle cose…”
L’epistéme è dunque il fondamento innegabile razionale dell’intero, nel senso di essere “…pensiero incontrovertibile che rende incontrovertibile l’essere stesso e quale metodo conoscitivo per attingere il fondamento della verità, ovvero per cogliere la verità come fondamento del sapere e senso ultimo  della totalità delle cose.”
In questo senso possiamo definire il carattere essenziale del pensiero contemporaneo come “La crisi dell’epistéme, cioè la crisi della categoria della totalità” . E proprio l’abbandono da parte di questa categoria tipicamente metafisica porta ad una unificazione scientifica del mondo in quanto la scienza è “indagine specializzata, rivolta cioè a dimensioni particolari della realtà, ed è in questo frazionamento e in questa specializzazione del sapere che continua  a essere attivo il rifiuto di ogni epistéme e di ogni sistema che voglia porsi come verità definitiva” .
2.7 L’epistéme è viva!
Come abbiamo visto, però, la cosmologia smentisce questa impostazione dogmatica ed antimetafisica della scienza contemporanea, non solo nel senso di sviare il divieto impostole dalla metodologia scientifica, di non parlare del tutto, ma rappresenta anche il massimo tentativo intellettuale contemporaneo di mantenere intatto l’ideale epistemico di una verità incontrovertibile attraverso la ricerca di quella che in gergo viene definiti TOC (teoria di ogni cosa), una vera e propria teoria omni-comprensiva che riesca a descrivere l’universo nella sua interezza.
In questo senso E. Severino ha ragione ad affermare che il significato essenziale dell’epistéme filosofica ha una natura fondamentalmente diversa da quella che assume nel linguaggio scientifico moderno, ma non si avvede della presenza ingombrante del significato filosofico dell’epistéme all’interno della ricerca cosmologica contemporanea; egli a tal proposito afferma: ”Come la fisica moderna (ma già la fisica aristotelica) non ha più a che fare col senso della phýsis alla quale pensano i primi filosofi – appunto perché la scienza moderna procede dall’assunto metodico di isolare dal suo contesto quella parte della realtà che essa intende studiare e controllare -, così l’epistéme alla quale si riferisce la moderna epistemologia non ha più a che fare col senso filosofico dell’epistéme. L’epistemologia è la riflessione critica sulla scienza moderna, ossia sul quel tipo di conoscenza che ha progressivamente rinunciato a porsi come verità incontrovertibile…”
La cosmologia contemporanea, però, non isola nessuna realtà particolare da un contesto più generale e  arriva ad affermare che ”Il punto fondamentale è che deve (n.b. il corsivo è mio) esistere un insieme di leggi dalle quali è determinata completamente l’evoluzione dell’universo a partire dal suo stato iniziale” .
Ciò comporta un’ulteriore sottolineatura della particolare situazione epistemologica della cosmologia contemporanea che assume un atteggiamento “fideistico” sulla possibilità di raggiungere una verità definitiva, in contrapposizione allo scetticismo di fondo che caratterizza le filosofie e le scienze contemporanee, infatti: ”Lo scetticismo antico, moderno e contemporaneo non consiste nell’astratta  affermazione che non esiste  alcuna verità, ma consiste nell’affermazione che non esiste o non può esistere una verità epistemica che si ponga al di sopra della verità del mondo del divenire e pretenda esserne la Legge immutabile” . Poco più sopra abbiamo visto come la cosmologia, oggi, asserisca che non solo questa verità esiste ma che sia anche prossima ad essere conosciuta.
Dopo Cartesio l’ideale scientifico si è fondato sul dogmatico ed anti-metafisico divieto di sintesi suprema dell’essere per procedere con un’indagine analitica delle varie regioni del reale, ma paradossalmente, oggi la cosmologia ci rammenta come sia impossibile eliminare completamente il desiderio della ragione di raggiungere una conoscenza assoluta dell’essere infatti: “La ricerca di una -Teoria del Tutto- coincide con una compressione definitiva del mondo.[…] L’importante lezione che possiamo trarre da quanto abbiamo detto fin qui è che le teorie -Teorie del Tutto-, cosi come vengono pensate oggi, non sono altro che dei tentativi di far rientrare tutte le leggi che governano le forze naturali fondamentali in un’unica legge della Natura, derivata dalla conservazione di un’unica, sovrastante simmetria.”
In questo modo, possiamo affermare che la cosmologia attua un’unione sintetica tra le scienze contemporanee nel senso di essere coronamento della struttura culturale occidentale che ancora una volta, ritornando all’ origine del pensiero occidentale razionale, evidenzia l’impossibilità da parte del pensiero umano di eliminare quell’ideale di sintesi intellettuale sul reale–molteplice-empirico, ovvero, come afferma Jean-Michel Maldamè nel suo bel libro “Cristo e il cosmo” che  “la cosmologia riveste infine un ruolo unificante nei confronti delle altre discipline scientifiche […] La cosmologia si rapporta così a un dato irriducibile. Il processo di totalizzazione delle conoscenze è irriducibile. Fermarsi a un determinato momento del sapere significa perdere il senso dell’impresa.[…] La cosmologia è così inquadrata in una duplice prospettiva: quella del progresso delle conoscenze strettamente scientifiche, ma anche quella che dipende dalla ricerca filosofica.
Ciò significherebbe che la cosmologia contemporanea sarebbe da considerarsi come “la filosofia prima”, in senso aristotelico, del sistema scientifico odierno. Diverrebbe il luogo ideale d’incontro tra i saperi delle scienze particolari. A questo proposito è importante ricordare come esponenti illustri dell’epistemologia contemporanea abbiano sottolineato questa “preponderanza concettuale” della cosmologia; come evidenzia Luigi Zanzi: ”Non stupisce che la cosmologia più volte sia stata assunta -per esempio da Karl Popper- quale sede dell’integrazione delle diverse discipline, come se ciascuna di esse dovesse collegarsi alla cosmologia intesa come -voce- portante di un contesto enciclopedico -universale-“ . Queste affermazioni non possono fare altro che spingerci a considerare la struttura teoretica cosmologica (che utilizza il contributo degli elementi concettuali di svariate scienze particolari: matematica, fisica, astrofisica, biologia, geologia, ecc.) ed ,in particolare, l’ideale traguardo dello scoprimento di una TOC, come il tentativo contemporaneo del raggiungimento di un sistema esplicativo di tipo hegeliano in quanto: ”Il sistema hegeliano si qualifica e si realizza come “enciclopedia delle scienze”: ciò significa che la filosofia guarda alla realtà non in modo diretto, ma grazie all’aiuto delle scienze positive…”
Possiamo così affermare che la “filosofia” della cosmologia contemporanea, riferita all’ideale epistémico di una teoria di ogni cosa, sia molto più neo-hegeliana che neo-kantiana nel senso di non rientrare in quell’ “…ampia gamma di atteggiamenti che ritornano al fenomenismo kantiano, cioè alla tesi che la realtà in se stessa è inconoscibile e che le contraddizioni della realtà diveniente sono, appunto, il fenomeno, l’apparenza soggettiva di una verità che all’uomo è preclusa”  e che caratterizza l’essenza della filosofia contemporanea. Questa, come vedremo in seguito, non è l’unica posizione all’interno della cosmologia; anzi possiamo affermare, fin d’ora, che gran parte della comunità scientifica cosmologica sia incline a rifiutare la possibilità teorica di un raggiungimento finale e definitivo di una sintesi razionale suprema della natura. È importante per noi sottolineare, comunque, che questo ideale, anche se probabilmente irraggiungibile, è comunque vivo, e diviene lo scopo ultimo della scienza odierna. A volte sono più gli scopi e non i traguardi a caratterizzare maggiormente una scienza rispetto alle altre.
L’ideale metafisico di una teoria assolutamente incontrovertibile e definitivamente vera non sembra dunque essere totalmente sparito dall’epistemologia scientifica contemporanea, anzi possiamo affermare che tracce di un residuo scientista siano presenti ancora oggi negli ambienti scientifici ed in particolare proprio all’interno della cosmologia, infatti, Sthephen Hawking nel 1985 poteva asserire che “ io credo che ci siano motivi di cauto ottimismo per supporre che oggi si possa essere vicini alla fine della ricerca delle leggi ultime della natura.”  A questo proposito è divenuto famoso ed emblematico il titolo della sua lezione inaugurale a Cambridge il 29 aprile 1980 quale “Lucasian professor” di matematica: “E’ in vista la fine per la fisica teoretica?”.
E’ lo stesso Hawking a definire il suo approccio filosofico-teorico alla realtà come una nuova forma di positivismo: ”Quel che spero di aver dimostrato è che un qualche tipo di approccio positivistico, in cui si considera una teoria alla stregua di un modello, è l’unico modo per capire l’universo, almeno per un fisico teorico. Io sono fiducioso che si possa trovare un modello coerente in grado di descrivere ogni cosa nell’universo. Se ci riusciremo, sarà un trionfo per la specie umana.”   Questa impostazione di fondo implica anche il ritorno di un paradigma deterministico e neo-meccanicistico in quanto:”… ogni cosa esistente nell’universo sarebbe stata determinata da un’evoluzione secondo le leggi della scienza; e perciò difficile vedere come noi potremmo essere padroni del nostro destino.”
Quanto sia legittima questa aspettativa euristica, e non piuttosto un’ennesima dimostrazione del rifiuto dell’insegnamento kantiano dell’impossibilità da parte della ragione di superare i propri limiti per spingersi ad un abbandono del fondamento trascendentale del conoscere” , è un discorso che affronteremo successivamente; ora, è importante ricordare che parte della comunità scientifica non è incline ad accettare un atteggiamento così marcatamente scientista, come afferma ironicamente  E.J. Lerner, probabilmente riferendosi proprio ad Hawking: ”Quando eminenti scienziati pubblicamente predicono che la scienza raggiungerà ben presto il suo supremo ed ultimo traguardo, che nel giro di un decennio tutto sarà spiegato, potete star certi che sbagliano.”  Ripetiamo ancora una volta che l’esempio di Hawking e il suo atteggiamento positivista è emblematico per la posizione autorevole che esso occupa all’interno della comunità dei cosmologi, ma non è paradigmatico della cosmologia in sé. Infatti anche se l’ideale epistemico diviene lo scopo della ricerca cosmologica, gran parte dei cosmologi è convinta dell’impossibilità gnoseologica di una verità definitiva, pur ammettendone il suo ideale regolativo.
La cosmologia contemporanea dunque, più di qualunque altra scienza particolare ci ricorda che “la filosofia tende oggi a confluire nella scienza. Ma solo ricordando ciò che la filosofia  è stata si può sperare di comprendere il senso della scienza e della stessa civiltà che sul fondamento della scienza sta costruendosi.”
2.8 L’universo ontologizzato
A questo punto abbiamo evidenziato quali siano i punti di contatto tra la scienza cosmologica e la filosofia o metafisica. Ma non possiamo spingerci più in là? Non possiamo decifrare una comunione tra le due ancora più profonda? Nella capitolo precedente mi sono chiesto: e se l’essere fosse lo spazio–tempo, l’universo? Se l’essere di cui parla l’ontologia fosse l’universo di cui si occupa la cosmologia? Se l’essere fosse l’universo e l’universo l’essere? Certo, qualcuno potrebbe dire che nell’atto di identificare il concetto di essere con quello di cosmo si farebbe un errore metodologico ed addirittura teoretico ontologizzando un ente tra gli enti (l’universo).
Ma che cos’è l’essere? Se all’essere togliamo lo spazio, la materia, l’energia e addirittura il tempo cosa rimane se non il nulla? Se togliamo tutto ciò che è cosa rimane? Il cosmo non è semplicemente un ente tra gli enti ma l’Essere. L’universo cosmologico è la versione scientifica dell’essere metafisico. Se la realtà nella sua totalità può essere definita mediante ciò che essa non è, cosi vale per l’universo che è il concetto contemporaneo indicante la realtà nella sua assolutezza. ”Alla domanda -che cosa è l’essere ?- non è possibile dare una risposta adeguata, ciò definitoria. Ciò a cui ci riferiamo, quando diciamo -essere-, è infatti la realtà tutta, perchè di qualsiasi cosa diciamo che è.[…] Oltre l’essere infatti non c’è nulla […] Si suole dire che, se l’essere non può definirsi, può venire -semantizzato- (G. Bontadini), cioè in qualche modo significato per opposizione a ciò che esso non è, quindi, per opposizione a -non essere- o -nulla-. Diciamo perciò -essere-, nella forma più universale, ciò che non è nulla.”
Il cosmo è l’essere contemporaneo, solo che viene affrontato scientificamente, attraverso quel processo di dimostrazioni teoretico-sperimentali che differenziano la scienza dalla metafisica e dalla teologia. I metodi sono cambiati, ma l’oggetto è fondamentalmente lo stesso (e di conseguenza il problema), infatti: ”Così, i diversi usi del termine cosmo si riferiscono tutti all’insieme di ciò che è. Differiscono secondo le intenzioni, secondo che si tratti di un procedimento scientifico, poetico, religioso, filosofico o teologico. Le diverse conoscenze (scientifica, filosofica o religiosa) considerano tutte il medesimo universo. Esse differiscono per il punto di vista con cui osservano ciò che è.”
A questo punto è importante introdurre un argomento (che affronteremo dettagliatamente in seguito) necessario a portare un po’ di chiarezza e fondamento alla tesi sopra affermata. Se cerchiamo il termine universo in un dizionario filosofico troviamo quanto segue: “Il tutto della natura fisica a prescindere dal suo ordine”  oppure:    “Insieme della materia  e dell’energia esistenti e dello spazio in cui esse sono immerse e di cui, secondo la relatività generale, determinano la geometria.”
Balza subito agli occhi come in entrambe le definizioni manchi il concetto di tempo. Ciò che i filosofi non hanno ancora completamente compreso è come la cosmologia contemporanea consideri il tempo una dimensione dell’universo e come tale affrontabile scientificamente. Probabilmente ciò deriva da una propensione dei filosofi a considerare il concetto di tempo in senso kantiano, ovvero come forma a priori dell’intuizione empirica, secondo cui la sensibilità da forma all’esperienza , e non in senso ontologico, come dimensione essenziale dell’essere, e, come cosmologicamente si può affermare, di una possibilità fondativa del tempo nel “non tempo” originario. (Al pari della contrapposizione fondante tra l’essere e il nulla).
E’ S. Hawking a sottolineare questa distanza tra i filosofi e i cosmologi teorici (probabilmente nel senso di attribuire più valore filosofico all’indagine cosmologica che a quella filosofica tradizionale): ”Da venticinque anni sappiamo che la teoria della relatività generale di Einstain contiene la predizione che il tempo deve avere avuto un inizio in una singolarità quindici miliardi di anni fa. I filosofi non hanno però ancora assimilato l’idea. Essi stanno ancora preoccupandosi delle fondazioni della meccanica quantistica, che furono poste sessantacinque anni fa. Non si rendono conto che la frontiera della fisica si è spostata in avanti.”
In un altro passo dello stesso libro Hawking è ancora più duro con i suoi “colleghi” filosofi quando, per sottolineare come la via contemporanea per la comprensione dell’essere sia quella dell’indagine cosmologica, fisica e matematica, dice: ”Coloro che dovrebbero studiare e discutere questi problemi, i filosofi, per lo più non hanno avuto una formazione matematica sufficiente per tenersi al passo con gli sviluppi moderni di fisica teorica. Esiste una sottospecie, quella dei filosofi della scienza, che dovrebbe essere meglio attrezzata. Molti di loro però sono fisici falliti, che hanno trovato troppo difficile inventare nuove teorie e quindi si sono dedicati a scrivere sulla filosofia della fisica.”
Resta ovviamente il dubbio di sapere se per comprendere la realtà si debba essere dei filosofi con una buona preparazione fisico-matematica o piuttosto dei cosmologi teorici con una formazione filosofico-metafisica, o possibilmente tutte e due.
Se il tempo, dunque, fosse un’entità separata, immutabile ed eterna con un’essenza trascendentale, sul quale sfondo si manifestassero le vicende della materia e dell’energia, allora la cosmologia studierebbe degli enti particolari e non sarebbe una forma contemporanea di ontologia, ma le cose stanno diversamente; la materia, l’energia e lo spazio sono nate insieme al tempo e non nel tempo.(n.b. Secondo il modello cosmologico standard) infatti: ”…l’alternativa consiste nel considerare il tempo come qualcosa che nasce insieme all’universo. Prima dell’inizio dell’universo non c’era nessun prima, perché il tempo non esisteva […] Non esistono un tempo, uno spazio, una materia che precedono l’inizio dell’universo.”
Ciò significa che la problematica heideggerriana del rapporto tra “tempo ed essere” viene risolta cosmologicamente con la teoria che l’essere è (anche) il tempo. ”Lo spazio e il tempo non sono solo misure operative, essi esprimo la ricchezza di ciò che è. Questa ricchezza è intesa come un’estensione e una relazione dell’essere con se stesso, secondo la disposizione delle sue parti o secondo il suo divenire. Essi non si riferiscono ad ambienti (topologici, geometrici o cronometrici), ma riguardano l’intimo dell’essere nelle sue relazioni con se stesso….”
Una volta compreso che eliminando lo spazio, l’energia, la materia e il tempo rimane il nulla, allora si comprende che si sta facendo ontologia. Se abbandoniamo il senso mistico attribuito da Haiddegger alla parola essere, e per un momento accantoniamo la necessità trascendente di Dio, allora comprendiamo che la cosmologia contemporanea indaga l’essere.
Quello di cui molti filosofi non si rendono  ancora pienamente conto è che la cosmologia contemporanea offre un’immagine dell’Universo che “appare come un’entità singola. Non può essere inserito in una serie, perché è definito come la totalità di ciò che è. La spiegazione scientifica si riallaccia alle questioni filosofiche, dell’unità, della totalità e dell’esistenza singola.”
L’essere ritorna alla ribalta, dopo che era stato abbandonato dai filosofi neo-empiristi (vedi Carnap) che ne sostenevano addirittura l’insignificanza terminologica, in tutta la sua portata ontologica. Ha solamente cambiato nome ma la sua importanza intellettuale mantiene l’assolutezza di quel domandare radicale dell’ontologia classica. Oggi il domandare radicale si ritrova all’interno dell’indagine cosmologica!
Il senso greco della totalità della realtà e della sua unità è ancor oggi presente, infatti: “La cosmologia come scienza ha per finalità lo studio di tutto ciò che è: la totalità inglobante che i greci chiamavano tò Pân. I latini tradussero questo termine con Universum. Il carattere esaustivo è completato dall’idea di unità: la mente vuole superare il diverso che si oppone all’universo. Il termine geco Kósmos assume un significato in questa prospettiva. Indica l’unità della totalità.”
2.9 Il ritorno ai presocratici
Possiamo addirittura evidenziare una sottile linea d’unione tra gli  albori stessi della filosofia greca e quindi presocratica e la problematica cosmologica contemporanea, affermando che la filosofia nasce in Grecia esattamente come cosmologia (per poi differenziarsi e strutturarsi in diversi ambiti conoscitivi). Come ricorda  E. Severino: “L’affermazione di Aristotele che la scienza dei primi pensatori è una -fisica- può essere espressa anche dicendo che tale scienza è una -cosmologia-, cioè una scienza del cosmo.”
Il problema iniziale della filosofia è la questione cosmologica infatti “ La filosofia presocratica sino ai Sofisti è dominata dal problema cosmologico…Il compito della filosofia presocratica è quello di rintracciare e riconoscere, al di là delle apparenze molteplici e continuamente mutevoli della  natura, l’unità che fa della natura stessa un mondo […] Al di fuori di Eraclito il problema verso cui intenzionalmente si dirige la ricerca dei presocratici è il problema cosmologico […] Il carattere di una filosofia è determinato dalla natura del suo problema; e non c’è dubbio che il problema dominante nella filosofia presocratica sia quello cosmologico.”
Se la filosofia nasce in Grecia come cosmologia è importante sottolineare che un altro concetto, strettamente legato a quello di cosmo e egualmente importante per la storia dell’intero sviluppo del pensiero filosofico, diventa centrale nella cosmologia contemporanea e centralissimo per il proseguio del nostro lavoro: il concetto di phýsis, ovvero di principio. Per questo argomento è utile riportare un passo,  necessario e illuminante, tratto da “La filosofia antica” di Emanuele Severino: ”L’affermazione di Aristotele che la scienza dei primi pensatori è una “fisica” può essere espressa anche dicendo che tale scienza è una “cosmologia”, cioè una scienza del “cosmo”. […] Ci si avvicina al significato originario di kósmos, se si ritraduce questa parola con “ciò che annunziandosi si impone con autorità”. Anche l’annunziarsi è un modo di rendersi luminoso. Nel suo linguaggio più antico, la filosofia indica con la parola kósmos quello stesso che essa indica con la parola phýsis: il Tutto, che nel suo apparire è la verità innegabile e indubitabile.”  Ciò significa che se la verità è l’illuminarsi dell’essere che si presenta nell’indubitabilità del suo Tutto, il principio dovrebbe fondare la verità dell’essere. Perché la verità e non il nulla? Perché l’universo e non il nulla? Il concetto di phýsis ricongiunge in modo assoluto la nascita del pensiero greco con ciò che la cosmologia contemporanea intende, coscientemente o no, essere oggi.
Come i primi pensatori greci che studiarono la dimensione diveniente dell’essere si facevano chiamare “fisici” ma in realtà erano già dei “metafisici”, così i fisici di oggi che studiano l’universo si fanno chiamare cosmologi ma sono in realtà dei “metacosmologi”.
Dalla natura si è passati all’universo. Ma ogni qual volta ci si vuole avvicinare al “principio” si diventa dei “metaqualcosa”. Infatti, “Aristotele chiama “fisici” o “fisiologi” i primi pensatori greci. Nel suo linguaggio, la “fisica” (cioè la scienza studiata dai fisici) ha come oggetto quella parte del Tutto che è la realtà diveniente (sia essa realtà corporea, o biologica, o psichica), oltre la quale esiste la realtà immutabile di Dio. La -fisica- aristotelica (e a maggior ragione, la fisica moderna) non è scienza del Tutto.”  Ciò significherebbe che Talete, Anassimandro, Anassimene, ecc. non essendo dei metafisici non si rivolsero alla totalità delle cose, all’essere, ma solo a una sua parte (questa è la medesima critica che si potrebbe rivolgere ai cosmologi contemporanei che sono per lo più dei fisici, ma abbiamo già visto in che modo questa critica possa venire smentita); ”…tuttavia il rendersi conto che nei primi pensatori greci la cura della verità è insieme un rivolgersi al Tutto, richiede che non si possa accettare la tesi aristotelica secondo la quale la filosofia al suo inizio è semplicemente una -fisica-.”  Come 2500 anni fa la via iniziale per arrivare all’essere fu la fisica, oggi, la via finale all’essere sembra ripercorrere il  sentiero (lastricato dai tasselli dorati dei successi della scienza moderna) della fisica cosmologica. Quando si affronta la totalità, e l’universo cosmologico è la Totalità, allora si è dei metafisici. ”Poiché la parola -metafisica- sarà usata, nel linguaggio filosofico successivo, per indicare il rivolgersi della filosofia al Tutto, oltrepassando il saper limitato del mondo fisico, è più aderente alla situazione reale dire che i primi pensatori greci sono dei -metafisici- e anzi i primi metafisici.”  Così come la cosmologia contemporanea quando parla dell’universo non lo considera semplicemente una dimensione  particolare dell’essere ma la totalità della realtà, così: ”..quando i primi filosofi pronunciano la parola phýsis, essi non la sentono come indicante semplicemente quella parte del Tutto che è il mondo diveniente.[…] Phýsis è costruita sulla radice indoeuropea bhu, che significa essere, e la radice bhu è strettamente legata (anche se non esclusivamente, ma innanzitutto) alla radice bha, che significa -luce- […] Già da sola, la vecchia parola phýsis significa –essere- e -luce- e cioè l’essere, nel suo illuminarsi.”  Ed eccoci arrivati all’affermazione definitiva che maggiormente sottolinea questa linea d’unione che abbiamo cercato di dipanare e che evidenzia in modo radicale l’unione essenziale e storica tra la cosmologia, la metafisica e l’epistéme: “Il contenuto di ciò che la filosofia non tarda a chiamare epistéme è appunto ciò che i primi pensatori (ad esempio Pitagora ed Eraclito) chiamano kósmos e phýsis.”
In realtà possiamo asserire che dai presocratici in poi, quasi ogni forma storica di metafisica abbia avuto una forma centrale ed essenziale di cosmologia razionale in quanto: “Cosmologie nel senso di Wolff possono ovviamente essere scoperte retrospettivamente in tutto il pensiero filosofico a partire dai presocratici , ma fino ad allora per i filosofi la cosmologia era semplicemente metafisica o -filosofia naturale-.”  Ma è proprio all’interno del sapere scientifico che avviene il riconoscimento più esplicito dell’identità essenziale tra la metafisica e la cosmologia. L’impossibilità di eliminare la “pressione” metafisica che la ragione esercita su se stessa sembra essere, in questo senso, definitivamente insuperabile. Come riconosce Paul Davies: ”Il termine «metafisica» è arrivato a significare «teorie sulle teorie» della fisica. Di colpo è apparso rispettabile discutere di «classi di leggi» invece che delle effettive leggi dell’universo. Si è rivolta l’attenzione a universi ipotetici con proprietà abbastanza diverse dal nostro, nello sforzo di capire se esista qualcosa di peculiare a quest’ultimo […] I fisici, insomma, stanno da tempo praticando in tal senso la metafisica.”
2.11 Conclusioni
In questo secondo capitolo abbiamo sottolineato quali siano le caratterizzazioni principali della cosmologia contemporanea e i punti di contatto e addirittura di identificazione con l’ontologia filosofica; in ordine abbiamo affrontato la definizione dell’universo come oggetto d’indagine scientifica, la caratterizzazione principale della cosmologia contemporanea rispetto alla cosmologia moderna, l’ideale epistemico che rimane vivo all’interno di un procedere scientifico, la possibilità di identificare l’essenza dell’ontologia con l’essenza della cosmologia.
Ora affronteremo l’altrettanto problema filosofico dell’Origine dell’universo (che ovviamente è il massimo problema anche della cosmologia) utilizzando prevalentemente l’esposizione chiara e penetrante di uno dei massimi divulgatori della cosmologia contemporanea: Paul Davies. Per il momento è sufficiente dire che secondo l’ortodossia cosmologica l’universo è nato dal nulla e ciò è abbastanza per ricordarci come Parmenide  sia ancora vivo nei  nostri pensieri insieme alla domanda fondamentale della ragione umana! Chiudiamo questo capitolo, per aprire il successivo, con un esempio metaforico e idealmente ci ricongiungiamo, dunque, all’introduzione di questo lavoro: ”Supponiamo infatti, a mo’ d’esempio, che i cavalli siano sempre esistiti. L’esistenza di ciascun cavallo si spiega con l’esistenza dei cavalli che l’hanno generato. Ciò però non spiega perché esistano i cavalli – perché i cavalli ci sono mentre potrebbero non esserci, o essere unicorni. Anche se possiamo attribuire una causa ad ogni evento, rimarrebbe sempre misterioso il perché l’universo è fatto come è fatto, o perché c’è un universo mentre potrebbe non esserci.”  Forse l’ideale epistemico di Hawking non è poi così vicino come sembra!
Cap. 3
IL PROBLEMA DELL’ ORIGINE
3.1 Il sole non è eterno
Una delle espressione più usate da Emanuele Severino per rappresentare sinteticamente il fondamento del suo pensiero filosofico è una metafora “solare”. Per negare la possibilità onto-logica del divenire ed affermare la necessità “futura” di porsi al di la dell’errore assolutamente originario e fondamentale dell’occidente, che del divenire ha fatto l’alienazione fondamentale (nichilistica) identificando l’essere col niente, egli dice: ”al di fuori dell’alienazione essenziale. Ciò che appare è l’ente, cioè l’immutabile, l’eterno. E l’eterno entra ed esce dall’apparire, come il sole – che brilla eterno- entra ed esce dalla volta del cielo.”  Il divenire diventa la fede fondamentale dell’occidente, e come fede, mai messa in discussione. Il divenire è l’indiscutibile.” Ma il divenir altro è assolutamente impossibile. E ciò che assolutamente non può essere: l’assolutamente nulla, che peraltro viene sempre pensato come la struttura fondamentale dell’essere. L’errore domina il pensiero dell’occidente.”
“Il pensiero che guida l’occidente, non solo afferma nel proprio inconscio, l’identità dell’essente e del niente – e quindi il pensiero che guida l’occidente è il nichilismo, ma crede anche di vedere ciò che invece non è in alcun modo visibile, ossia l’uscire degli essenti dal nulla e il loro ritornarvi […] Il divenire non è il divenir altro, ma è la vicenda in cui gli eterni compaiono e scompaiono- gli eterni, cioè gli identici a sé e diversi dal loro altro. Oltre quelli presenti, sono eterni anche gli eventi e gli istanti che diciamo passati e futuri.”
In un’altra occasione, dialogando con Gianni Vattimo, ribadisce quanto tenga a questa metafora: ”L’essere quale si manifesta al di fuori e al di la della cultura dell’Occidente, lungi dal non spiegare la storia, è anche e soprattutto ciò che garantisce l’autentica trasformazione storica […] Questo movimento necessario è in qualche modo simile all’immagine antica del tragitto del sole, che è eterno, si presenta all’inizio della giornata, ma non cessa di essere e illuminare, nemmeno quando, al termine della giornata, scompare.”
Il problema è che il sole non è eterno. Nessuna stella. Nessun cielo. Nessun ente. “Agli antichi le stelle sembravono immobili e immutabili e l’espressione «stelle fisse» è stata usata comunemente dagli astronomi, anche se un po’ anacronisticamente, fino a poco tempo fa. Oggi sappiamo che le stelle mutano col tempo, anche se di solito molto lentamente.
Probabilmente la metafisica, intesa come ricerca dell’Immutabile, nacque in Grecia proprio perché all’esperienza si manifestò l’eternità apparente degli astri; dall’esistenza di enti eterni era logico passare alla necessità logica di un Essere immutabile. ”Esiste qualcosa che sia veramente e sicuramente costante? L’essere assoluto e immutabile può albergare in un mondo pervaso dal divenire? Un tempo si credeva che i cieli fossero immutabili, che il sole e le stelle durassero per l’eternità. Ma ora è noto che tutti i corpi astronomici, per quanto immensamente vecchi possano essere, non sono esistiti sempre, né continueranno sempre a esistere. Gli astronomi hanno infatti scoperto che l’universo intero è in uno stato di graduale evoluzione.”
La cosmologia contemporanea, dunque, afferma che nemmeno l’universo è eterno. Se non siamo certi di come esso finirà, possiamo essere abbastanza sicuri che esso una volta non era. Esso sarebbe nato letteralmente dal nulla. Se dunque per Severino la storia dell’occidente è in realtà la storia del nichilismo, se l’essenza stesa della metafisica è il nichilismo e se per nichilismo s’intende, dunque, l’uscire e il ritornare delle cose dal niente nel niente, allora, la cosmologia contemporanea è la massima espressione nichilistica del pensiero umano. Il nichilismo ha raggiunto una fondazione scientifica. La cosmologia standard sostiene che l’essere è nato dal nulla. Ciò, per Severino non è nemmeno da discutere perché “Il problema dell’origine dell’universo – come di qualsiasi altra cosa- è un falso problema.”  Ancora una volta, anche se egli afferma da anni che il suo pensiero non è una forma di neoparmenidismo, abbiamo la conferma di come, in realtà, egli non riesca a differenziarsene essenzialmente.
3.2 Il big bang
A questo punto introduciamo l’argomento fondamentale di questo capitolo: l’origine dell’universo (di tutto ciò che è) nel big bang, ovvero una singolarità spazio-temporale avvenuta tra i 15 e i 20 miliardi di anni fa. Ricordiamoci però che: “Thomas Mann amava asserire che l’origine è sempre una quinta del tempo, il che è come dire: non c’è origine. Ogni volta che siamo di fronte all’origine in realtà siamo di fronte all’originato, non all’origine. Non ha senso pensare un’origine –una- di cui possa dire: questa è l’origine. Ecco per l’intelligenza umana un paradosso insostenibile.”  Tradotto ciò vuol dire: se l’universo è nato dal big bang, il big bang da dove è nato? Il big bang è davvero l’Origine o un che di originato? Il problema della causa Prima riemerge ogni qualvolta il pensiero, sia esso metafisico o scientifico, si avvicina al problema del principio. Come rileva il fisico americano Eric J. Lerner: ”Se l’univero aveva avuto un’origine nel tempo, che cosa l’aveva preceduto? Che cosa lo aveva avviato? Il big bang a prima vista sembrava un invito ad ipotizzare qualche potenza soprannaturale all’origine di questa titanica esplosione.”  A me pare che questo sia il problema che affligge il pensiero umano da 2500 anni circa!
Come abbiamo detto nel primo capitolo la scoperta più importante del xx secolo è che l’universo è in espansione. Questa scoperta è merito Edwin Hubble, che nel 1929 scoprì l’allontanamento delle galassie le une dalle altre. Il fatto che gli enti che formano l’universo si stessero allontanando portò alla conclusione logica che un, tempo, nel passato, questi stessi enti fossero concentrati in un punto di densità infinita dal quale si verificò questa esplosione immensa che chiamiamo big-bang. In seguito, l’universo, dall’originaria esplosione, si sarebbe evoluto, e si starebbe evolvendo tutt’ora, in strutture complesse come le attuali galassie.
È importante sottolineare come l’immagine comune di un’esplosione che avviene in uno spazio preesistente sia fondamentalmente sbagliata e distorcente. Non c’era nessuno spazio prima del big bang; lo spazio sarebbe nato con il big bang. Successivamente ulteriori prove scientifiche condussero la cosmologia contemporanea a considerare il big-bang come la teoria standard (ve ne furono presubimilmente cinque versioni differenti) della spiegazione della nascita dell’universo.
3.3 Il tempo cosmologico e il tempo filosofico
Ciò significa che il tempo nacque insieme all’essere, con il big-bang. Prima c’erano il nulla e il non tempo. Questa nuova prospettiva di un tempo che “sorge” dal nulla venne fondata scientificamente per la prima volta nel 1915 da Albert Einstain con la sua teoria generale della relatività; le implicazioni filosofiche e teologiche di una tale prospettiva furono importantissime: ”Quando gli scienziati iniziarono a esplorare le implicazioni del tempo di Einstain per l’universo nel suo complesso realizzarono una delle più importanti scoperte della storia del pensiero umano: il tempo, e quindi tutto il mondo fisico, deve avere avuto una precisa origine. Se esso è flessibile e mutevole, come Einstain ha dimostrato, allora è possibile che abbia incominciato a esistere, così come può nuovamente scomparire; in somma può avere un inizio e una fine. Oggi l’origine del tempo viene chiamata –Big Bang-. Per i credenti, questa origine coincide con la creazione.”
Il problema dell’essenza del tempo, infatti, non è una questione recente, ma anzi, una questione filosofica fondamentale che ha coinvolto la speculazione razionale dei maggiori filosofi di tutti i tempi. Basta ricordarne solo alcuni: Parmenide,Platone, Aristotele, Plotino, Agostino, Boezio, Anselmo. Tommaso, Kant, Heiddegger. Il problema metafisico dell’eternità o della temporalità dell’essere ha viaggiato insieme all’altrettanto metafisico problema della finitezza o infinità dell’essere.
La temporalità agostiniana, a questo proposito, è particolarmente famosa, e belle sono le parole che egli adopera per rappresentare l’atto fondativo dell’anima che unifica lo scorrere temporale all’interno del soggetto:” In te, o anima mia, misuro il tempo. Non disturbarmi; ossia non disturbarmi con il tumulto delle tue impressioni. In te, io affermo, misuro il tempo. L’impressione lasciata in te dalle cose mentre passano e che dura anche quando esse sono passate, quella io misuro come presente, non le cose che, passando, ve la lasciarono: è dessa che io misuro quando misuro il tempo. E allora: o questo è il tempo, o io non misuro il tempo.”
Fondamentalmente, da allora si svilupparono due concezioni distinte e contrapposte sulla natura del tempo. La prima che ha origine proprio in Sant’Agostino e che si prolunga fino all’epoca moderna, e che possiamo chiamare del tempo soggettivo: ”L’appello agostiniano alla coscienza per dare unità e consistenza all’esperienza temporale ricorre in vario modo lungo tutta la storia della filosofia. In età moderna, però, il ruolo della soggettività. In T. Hobbes e in G.W. Leibniz, in J. Locke, G. Berkeley e D. Hume, il tempo è concepito come pura esperienza soggettiva, modo psicologico di organizzare le esperienze senza fondamento nella successione delle cose. Con Kant il soggettivismo viene liberato dall’arbitrarietà, e il tempo diviene una forma a priori, cioè universale e necessaria, dell’intuizione empirica, secondo cui la sensibilità da forma all’esperienza.”  La seconda, invece, che trova il suo massimo rappresentante in Newton e che possiamo definire come concezione del tempo assoluto e che descrive il tempo come sfondo eterno ed immutabile sul quale si manifestano le vicende del divenire.
Proprio Kant, influenzato dalla fisica di Newton “tentò, per primo, nella sua teoria dei cieli, una cosmogonia scientifica che presentava un’ipotesi di una formazione dell’intero universo a partire da una nebulosa primitiva e sulla base delle leggi della fisica newtoniana.”  Questa descrizione kantiana è molto simile al processo reale della formazione delle galassie piuttosto che alla cosmogonia iniziale dell’universo e probabilmente ciò deriva ancora una volta dalla concezione del tempo assoluto che comunque è presente in Kant (insieme all’a priori necessario  della conoscenza soggettiva) proprio attraverso l’influenza di Newton. Ciò significa che la nebulosa primordiale kantiana sarebbe da intendersi, più che altro, come passaggio dal disordine all’ordine dell’universo, ma non una vera e propria creazione dell’universo col tempo; infatti vediamo qual è il tempo di Kant secondo la descrizione, relativamente lunga, ma necessaria, che ne da Paul Davies: ”L’universo non può avere avuto un inizio, sosteneva, poiché ciò significherebbe che deve essere trascorso un numero infinito di eventi o una successione infinita di stati del mondo. Ma, dal momento che l’infinità non può essere mai raggiunta «mediante una sintesi successiva», l’ipotesi di un universo eterno deve essere falsa. D’altro canto, se l’universo cominciò a esistere in qualche particolare momento del tempo, allora deve esserci stato un tempo prima che esso esistesse (Kant lo chiamò «tempo vuoto»). Ma poi sostenne, in maniera abbastanza oscura, che niente può avere origine in un tempo vuoto, «perché nessuna parte di un tempo tale ha in sé, piuttosto che un’altra qualunque, una condizione distintiva di essere piuttosto che di non essere». Kant ammise che sfuggire al suo dilemma temporale avrebbe significato negare «l’esistenza di un tempo assoluto prima del mondo», e questo non era ancora pronto a farlo, nonostante quanto sosteneva Agostino.”
Dopo l’approccio filosofico al tempo, per la prima volta con Einstein, la centralità metafisica della questione temporale diventa teoricamente affrontabile scientificamente. Con la relatività generale di Einstein viene attuata una sintesi tra le due concezioni sopra descritte: il tempo viene considerato non più assoluto ma relativo alla posizione di moto del soggetto e nello stesso tempo riacquista una connotazione ontologica che il soggettivismo gli aveva negato, in quanto diviene, con gli sviluppi successivi della relatività generale, coessenziale all’essere nell’istante della creazione. ”La teoria della relatività di Einstein introduceva nella fisica una nozione di tempo intrinsecamente flessibile. Anche se non arrivò a restaurare le antiche concezioni mistiche del tempo, che lo descrivevano come qualcosa di essenzialmente individuale e soggettivo, essa ancorò saldamente l’esperienza del tempo all’osservatore individuale.”
In un certo qual modo possiamo affermare che non sia il soggetto a definire il tempo, ma sia il tempo a definirsi sulla velocità di moto del soggetto. È importante comprendere come la flessibilità geometrica del tempo non sia un semplice effetto psicologico dell’osservatore in moto, ma un modo d’essere reale dello spazio-tempo. “Questo argomento risulta tanto sconcertante proprio perché mette in crisi l’immagine del mondo fornita dal senso comune, una immagine in cui spazio e tempo – cioè la distanza e la durata – sono fissi per tutti gli osservatori, indipendentemente dalla loro condizione di moto. Al contrario, secondo la teoria di Einstain, è la velocità della luce a restare fissa, mentre sono lo spazio e il tempo che mutano in funzione del moto dell’osservatore, in modo tale da assicurare appunto tale costanza della velocità della luce.”
È il tempo ad essere relativo, non è il soggetto. ”L’aspetto innovativo della concezione einsteiniana del tempo era costituito dal fatto che connetteva fisicamente il tempo allo spazio e non solo dal punto di vista metaforico. La teoria della relatività fonde spazio e tempo in maniera piuttosto precisa e profonda.[…] La teoria della relatività non ci consente di separare il tempo dallo spazio scegliendo porzioni spaziali, o temporali attraverso lo spazio-tempo in maniera assoluta e universale.”
Per l’ennesima volta abbiamo la conferma di come la cosmologia contemporanea non sia altro che una versione “scientificata” della metafisica classica. Il continuum spazio-temporale è ciò che i metafisici hanno da sempre chiamato essere. Ciò, perché prima dello spazio tempo non c’era nulla. Paul Davies a questo proposito dice: ” La gente, specialmente i giornalisti irritati dalla pretesa degli scienziati di spiegare ogni cosa, chiedono spesso: che cosa accadde prima del big bang? Se questa teoria è corretta, la risposta è semplice: niente.Se anche il tempo ebbe inizio con il big bang, non c’era un prima in cui potesse accadere qualcosa.”  Questa concezione del tempo è estremamente simile alla posizione che il tempo possiede nella cosmologia agostiniana, dove il mondo non fu creato nel tempo, ma col tempo. Sant’Agostino  pose Dio al di fuori e al di sopra del tempo.
Il problema teologico fondamentale sta proprio in questo, nel comprendere che tipo di unione possa esistere tra un Dio ultratemporale e un mondo temporalmente finito e contingente. Infatti il problema del tempo è stato centralissimo all’interno della teologia razionale ed in particolare del tipo di rapporto che intercorre tra Dio e il tempo, come afferma Paul Davies: ”Il nocciolo del dibattito sta nello scoraggiante problema di come stabilire un collegamento fra la presunta eternità divina e l’evidente caducità dell’universo fisico. Può un Dio totalmente atemporale avere un qualunque tipo di rapporto con un mondo mutevole, con il tempo umano? Siamo sicuri che è impossibile per Dio esistere sia al di fuori del tempo sia all’interno di esso? Dopo secoli di aspri dibattiti, i teologi non hanno ancora trovato una soluzione da dare a questo difficilissimo problema.”  È noto che quando qualcuno domandava a Sant’Agostino cosa facesse Dio prima di creare il tempo, rispondeva che Egli stava preparando l’inferno per coloro che ponevano tali domande. Come vedremo, questa domanda, in forme più o meno raffinate, in realtà è stata sempre innanzi alla ragione e ad essa ineliminabile. È probabile, dunque, che l’inferno, se esiste, sia stato pieno di filosofi. Oggi  di cosmologi!
3.3 L’arché e il big bang
Ma il big bang è, in realtà, una versione contemporanea di un concetto molto più antico, che compare in Grecia intorno al VI secolo a.C. e che ha caratterizzato la speculazione filosofica antica; l’essenza del problema fondamentale dell’occidente è rimasta identica, ha solamente cambiato nome: “Questo rapporto tra origine e originato è stato portato per la prima volta alla luce dalla filosofia greca, e rimane a fondamento dell’intero sviluppo della civiltà occidentale. L’arché del primo pensiero greco è appunto l’origine. E il pensiero scientifico continua a muoversi all’interno del senso greco dell’arché, ed esprime la conservazione o permanenza dell’essenza dell’essere in termini di conservazione dell’energia.[…] Il big bang è l’equivalente, sul piano della cosmologia scientifica, di ciò che l’arché è sul piano ontologico-metafisico, ossia è l’origine ultima di tutti gli stati dell’universo.”
Il termine arché è tradotto in italiano con il termine principio, “per designare sia l’inizio temporale, sia la premessa logica, sia la causa o ragion d’essere.”  Secondo la teoria del big bang, tutte le cose che sono, che sono state e che saranno, erano gia tutte contenute all’inizio del tempo, in un punto di densità infinità; le stelle, i pianeti, il sole, la terra, il Colosseo, noi tutti, tutta l’energia dell’universo erano condensati in un punto matematico.
In questo senso l’universo acquista un ulteriore caratterizzazione fondante; oltre a essere la totalità di ciò che è, acquista anche un identità unitaria, in quanto, le strutture complesse e molteplici che compongono l’universo, divengono essenzialmente identiche nell’atto del loro venire ad essere. In questo senso l’energia sarebbe l’essenza dell’essere contemporaneo. Ciò che rende identico il diverso  molteplice è, nella contemporaneità scientifica, l’energia. In questo senso possiamo comprendere la famosa equazione einsteiniana dell’equivalenza tra massa e energia, E= mc². Le diversità apparenti degli enti molteplici che formano l’universo vengono spiegati come una degradazione maggiore o minore dell’energia essenziale che si trasforma in materia. La singolarità matematica iniziale diviene l’equivalente del senso metafisico greco dell’Uno. ”Per i primi pensatori greci l’uno, da cui le differenze provengono, è la stessa  -identità del diverso-. Il processo del differenziarsi dell’uno coincide così con l’unità (= identità) delle differenze. Il divenire (la generazione) delle cose è cioè lo stesso costituirsi della differenza delle cose, a partire dall’uno. La differenza (tra le cose) esiste soltanto nel differenziarsi (delle cose- a partire dall’uno).”  Similitudine che sfiora l’identità concettuale, con l’idea di singolarità (una!) dalla quale le cose provengono, e alla quale probabilmente torneranno (vedi Big Crunch).
A questo punto introduciamo una domanda fondamentale: perché l’universo, da un punto iniziale di omogeneità e semplicità assolute, si è dato la pena di differenziarsi in strutture sempre più complesse? Perchè da una originaria indifferenziazione e generalità massime si è passati a una moltiplicazione degli enti? Infatti, se tutte le cose sono originariamente uno, sono anche diverse tra di loro, e quindi diverse dall’uno originario. Vediamo cosa dice Severino a proposito di questa duplicità concettuale del termine arché: ”D’altra parte, in questo modo, vengono identificati due concetti che non sono immediatamente identici: il concetto di ciò che vi è  di identico in ognuna delle cose diverse (ossia l’identità o unità del diverso), e il concetto dell’unità da cui tutto viene e in cui tutto ritorna. E tuttavia questa identificazione risulta pienamente comprensibile se si presta attenzione alla circostanza che i primi filosofi tendono a identificare ciò che vi è di identico nelle cose diverse e ciò da cui le cose sono costituite.”  L’energia, quindi sarebbe l’arché greca, nel senso di essere, sotto l’aspetto di concentrazione infinita nella singolarità iniziale il concetto indicante l’unità originaria da cui tutto viene, e, sotto l’aspetto della diversità degli enti molteplici, ciò che in essi vi è di identico.
Fino  a questo punto abbiamo visto come il concetto di arché sia in realtà, oggi, ancor presente e vivo all’interno della scienza, la quale ha cercato, dalla rivoluzione positivista in poi, di escludere ogni indagine sui principi o sui perché dell’essere, dedicandosi esclusivamente alla descrizione di come l’essere sì manifesta all’esperienza, eliminando dal suo statuto gnoseologico il problema del “perche’ l’essere?”. Un’ulteriore prova di quanto la cosmologia contemporanea sia in realtà una metacosmologia. Ogni volta che una scienza si avvicina al problema del perché, ovvero del principio, diventa “meta”. Proprio come per Aristotele la filosofia prima, la metafisica, era di ordine superiore rispetto alla filosofia seconda, la fisica che studiava gli enti divenienti, così, la cosmologia, studiando l’universo nella sua interezza e la sua origine, diventa in realtà una metacosmologia. Come i presocartici, che erano già dei metafisici, indagavano l’essere come dei fisici, così, i cosmologi che indagano l’universo da fisici sono anche, e soprattutto, dei metafisici. (anche se non sanno di esserlo,o non lo vogliono ammettere, forse a causa del fatto che i massimi cosmologi contemporanei hanno un’origine di provenienza di area anglosassone e perciò formatisi quasi esclusivamente sulla filosofia analitica del linguaggio e privi delle solide basi della metafisica classica greca).
La cosmologia contemporanea sarebbe dunque, in linea di principio, molto più aristotelica che platonica, nel senso dell’importanza attribuita alla fisica nella ricerca sull’essere, infatti: ”L’aristotelica riconduzione della fisica nell’ambito del sapere epistemico o scientifico consente di tracciare un orizzonte speculativo che abbracci tutto l’essere, cioè appunto l’essere in quanto essere, e inaugura la maturità dello statuto del sapere metafisico.La metafisica viene a maturità infatti quando prende a oggetto non solo l’essere eterno, incorruttibile e trascendente, come accade in Platone, ma quando si estende tematicamente a tutte le costanti dell’essere.”  (Come vedremo nel capitolo successivo gli esiti attuali della cosmologia si spostano, in realtà molto di più verso il platonismo di quanto si possa immaginare.)
C’è però una differenza fondamentale tra l’arché metafisico e il big bang cosmologico: l’eternità. Il tempo cosmologico non è il tempo greco. L’arché greca è eterna, il big bang cosmologico è temporalmente definito e finito. Nel momento stesso della massima convergenza tra la metafisica e la cosmologia si attua anche il massimo allontanamento tra le due. Per la metafisica greca: ”Ciò da cui le cose vengono e in cui esse vanno a finire non sta al di là degli estremi confini del Tutto, perché al di là di tali confini vi è niente. Aristotele avverte appunto che i primi pensatori considerano come verità l’affermazione che dal niente si genera niente. Il  “principio” (= l’arché) da cui le cose si generano e in cui si corrompono non è quindi a sua volta generabile e corruttibile, ma è eterno.” Il lógos conduce all’affermazione  incontrovertibile dell’eternità dell’essere e alla caratterizzazione dell’essenza divina dell’arché, eterna all’essere stesso: ”…il modo in cui i primi pensatori parlano della phýsis induce a ritenere che, per essi,  non solo le cose non si generano dal niente e non ritornano nel niente, ma il divenire stesso delle cose (il processo del loro generarsi e corrompersi) è messo in movimento non dal niente, ma da una forza –il “divino”- che, appunto, “governa” tutte le cose.”
3.4 Singolarità e cosa in sé
La ragione, ed in particolare, la versione ontologica del principio di non contraddizione, implicano necessariamente l’affermazione epistemica dell’eternità dell’essere. Ciò significa che il divenire che si manifesta all’esperienza è solo la modificazione apparente dell’essere eterno. La cosmologia contemporanea, come già sappiamo, cambia completamente strada; sul problema del tempo, imbocca una via d’uscita opposta: il tempo non è eterno. Il rapporto causa-effetto s’interrompe (il problema è capire se s’interrompe alla causa o all’effetto!) nella singolarità  iniziale, perché prima della singolarità, non c’erano rapporti di causa ed effetto e, quindi, nemmeno il tempo. La questione ontologica del tempo ricompare in tutta la sua “pesantezza” concettuale. La singolarità matematica iniziale sarebbe il “contorno” ontologico del momento della creazione, ovvero del big bang; il nulla sospeso dal quale l’essere trarrebbe se stesso, il limite gnoseologico assoluto, che la ragione non può sperare di superare ”… il cosmo intero sarebbe stato ridotto a un singolo punto. In questo punto, la forza gravitazionale e la densità della materia sarebbero state infinite.”  Ma ogni qual volta la mente umana si  lascia affascinare dall’infinito deve sopportare anche il peso della presenza angosciante del nulla (pensiamo ad Heiddegger). ”Una singolarità non va considerata come un oggetto o una cosa, ma piuttosto come un non - luogo  in cui tutte le leggi note sono sospese”  (i famosi buchi neri sarebbero delle singolarità spazio temporali “ridotte” della struttura dell’universo, più precisamente, la singolarità è l’ ”interno” di un buco nero formatosi dall’implosione gravitazionale di una stella che scompare letteralmente nel nulla dall’universo visibile e dove il tempo finisce). In questo senso abbiamo due tipi di singolarità: quella iniziale, dalla quale l’universo venne ad essere, e quelle locali o finali, dove la gravitazione induce la materia, lo spazio e il tempo a scomparire nel nulla. “Alcuni fisici  considerano la singolarità come la fine di spazio e tempo – una rotta di uscita dell’universo, verso un nulla completamente sconosciuto. Altri la considerano come la disintegrazione delle leggi naturali note.”  Questo significa, forse, che la scienza, all’inizio del terzo millennio, deve riconoscere i propri limiti conoscitivi nella ricerca di un fondamento dell’universo? Per sottolineare la drammaticità nullificante del concetto di singolarità vediamo il significato esistenziale che Paul Davies  gli attribuisce:” Insomma, quando la materia si imbatte in un’autentica singolarità spaziotemporale, ha raggiunto l’orlo estremo della stessa esistenza; al di là di esso non può esservi nulla, almeno in un senso che abbia  peso per le faccende del nostro mondo, dato che nessun tipo di influenza può superare la barriera della singolarità o attraversarla. Naturalmente la nostra immaginazione si può sbrigliare concependo i più strani oggetti all’altro capo della singolarità, ma è mera speculazione[…] Sembra proprio che la singolarità segni il limite estremo di quanto noi possiamo sapere, di ciò che ha significato nel nostro mondo.”
La singolarità iniziale, “invertita” rispetto alla singolarità di un buco nero, diventerebbe,  la versione contemporanea della cosa in sé kantiana. Il noumeno originario inconoscibile ma ,essente, del quale l’universo sarebbe la manifestazione fenomenica. Se manteniamo validi gli a priori kantiani dello spazio e del tempo nell’ambito della conoscenza umana, ma li aboliamo a livello ontologico intendendoli come coessenziali e cooriginari alla realtà, allora la singolarità diviene la cosa in sé spostata all’inizio temporale dell’essere, l’inconoscibile cosa in sé originaria. Questo vuol dire che il principio di non contraddizione sarebbe valido logicamente nell’analisi degli enti particolari, ma inapplicabile, nella sua versione ontologica parmenidea, all’universo-essere temporalmente definito; l’abolizione dell’eternità temporale da parte della cosmologia contemporanea implica l’affermazione della finitezza dell’essere. (particolarmente adeguata per rappresentare cosmologicamente la finitezza dell’univrso è la descrizione einsteiniana del cosmo come finito ma senza fine).
Teologicamente, invece, la singolarità iniziale non sarebbe nient’altro che la matematizzazione della dottrina teologica della creazione ex nihilo del mondo. A questo proposito è utile sottolineare l’essenza metafisica del concetto di singolarità rilevando una somiglianza concettuale evidentissima con la più antica, ma altrettanto metafisica idea, dell’Uno plotiniano, che diverrà importantissimo per il successivo sviluppo del pensiero cristiano: ”Se ogni ente è, ed è come esso è, perché ha una unità, tuttavia questa unità non è l’”Uno in sé”. L’“Uno in sé” trascende quindi, come mostra Plotino, non solo il mondo sensibile, ma anche il mondo delle idee, giacchè anche di ogni idea si deve dire che se essa è perché ha un’unità, nemmeno essa è l’“Uno in sé – il quale dunque trascende sia il molteplice sensibile sia quello intelligibile. L’“Uno in sé” è cioè la prima ipóstasi (alla lettera: “ciò che sta sotto”, “fondamento”), la base di tutto ciò che esiste, e quindi il principio creatore di tutto l’ente, l’infinita potenza creatrice.”  La singolarità iniziale cosmologica sarebbe una matematizzazione dell’ipóstasi plotiniana. Successivamente la teologia cristiana trasformerà l’ipostasi, da principio metafisico, al Dio trascendente che vuole il mondo.
La singolarità iniziale, diviene la chiave cosmologica per risolvere la contraddizione tra la ragione e l’esperienza. Come la teologia introduce il termine medio di Dio per spiegare l’inestricabilità dell’essere diveniente e il nulla, così la cosmologia introduce la singolarità iniziale come congiuntura tra il divenire dell’universo e il fatto che esso è.
3.5 La singolarità iniziale  e Parmenide
La cosmologia contemporanea si è trovata di fronte colui che Platone definì venerando e terribile: Parmenide. In questo senso la teoria della singolarità iniziale non è che l’ultimo tentativo storico di ricongiungere la ragione all’esperienza, dopo che Parmenide le aveva drammaticamente separate per affermare la verità assoluta della ragione.”  Severino ci ricorda che dopo Parmenide “La verità viene a porsi in antitesi con sé medesima: da un lato, come ragione (Lògos) – ossia come negazione che l’essere sia niente -, esige l’immutabilità e la non molteplicità dell’essere, dall’altro lato, come esperienza – ossia come manifestazione del mondo -, mostra il divenire e la molteplicità dell’essere.”  In questo senso i cosmologi di oggi come S. Hawking, R. Penrose, A. Guth, F. Hoyle, J. D. Barrow e altri non sono altro che i successori di Platone ed Aristotele, infatti, come i loro precursori greci devono cercare, fondamentalmente, di risolvere “Il problema che pertanto si impone e che impegna tutta la filosofia greca dopo Parmenide, costituito dalla ricerca delle condizioni che impediscano l’autodistruzione della verità e cioè la conciliazione della ragione con l’esperienza.”  La conferma di quanto, ancora oggi, sia importante e fondamentalmente irrisolto il problema del rapporto tra essere e divenire arriva direttamente dalla cosmologia, infatti Paul Davies afferma: ”Nessun tentativo di spiegare il mondo, sia scientificamente che teologicamente, può essere considerato riuscito finchè non si riesce a spiegare la paradossale combinazione di temporale e atemporale, di essere e divenire. E nessun argomento affronta questa combinazione paradossale in modo più completo che quello dell’origine dell’universo.”  In questo senso la drammatica ed attuale problematicità del pensiero di Parmenide si rileva dal fatto che egli non viene affrontato dai cosmologi (ciò è dovuto, probabilmente, all’ortodossia teorica del big bang, che afferma la temporalità dell’universo). La sua importanza deriva dalla sua assenza nei testi divulgativi di cosmologia. In tutti i libri di cosmologia divulgativa, i cosmologi dimostrano di conoscere relativamente bene parte della filosofia occidentale; continui riferimenti a San Tommaso, Agostino, Laibniz, Kant, Hume, sono disseminati ovunque, ma di Parmenide c’è solo l’ombra. L’unico riferimento diretto che ho trovato è stato di Paul Davies che cita l’eleato (peraltro immediatamente accantonato) nell’introduzione  del suo libro del 1988 “Il cosmo intelligente”: ”Il filosofo Parmenide, che visse 500 anni prima di Cristo, insegnava che «nulla si genera dal nulla» […] I seguaci di Parmenide si spinsero molto più in là, per concludere che non vi può essere nessun cambiamento reale del mondo fisico. Qualunque cambiamento evidente, asserivano è un’illusione. Il loro è un universo tristemente sterile, incapace di produrre qualcosa di nuovo.”  A parte il fatto che già Parmenide asserì l’illusionarietà del divenire e al massimo i suoi successori s’impegnarono per dimostrare la verità di questa affermazione, ma nel passo seguente vi è un errore ancora più pesante: ”Coloro che credono in questa affermazione di Parmenide non possono accettare l’idea che l’universo si sia generato spontaneamente; deve essere sempre esistito, oppure deve essere stato creato da una potenza soprannaturale. ” In realtà, chi crede nell’affermazione di Parmenide, può credere solo in essa e solo in quella. L’impossibilità razionale che dal nulla si generi nulla è assolutamente vera. Ciò significa che neanche una potenza soprannaturale può creare l’universo dal nulla. Quindi chi crede in Parmenide crede esclusivamente nell’eternità dell’essere. L’idea di un entità onnipotente non ha nulla a che fare con Parmenide: è l’assolutamente altro da ciò che Parmenide ha pensato e detto. È ciò che chiamiamo Dio creatore. Ma per Parmenide la ragione è più vera di Dio perché "Al di là del Tutto non esiste alcunché, perché il Tutto è l’essere, e al di là dell’essere non vi è niente.”  L’essere è senza principio, perché il principio già sarebbe e quindi non sarebbe nulla ma essere. Al di la del Tutto non c’è il principio del Tutto, ma il principio è gia contenuto da sempre nel Tutto. “Sin dal suo inizio, la filosofia pensa che la phýsis è eterna, “si conserva eternamente”, è “eternamente salva” dal niente. Come origine e termine di ciò che nasce e muore, non nasce e non muore: quando la phýsis è esplicitamente intesa come ápeiron, l’illimitato, si rileva che solo ciò che è limitato nasce e muore, e che quindi l’illimitato è eterno.”  Quindi, se la cosmologia contemporanea studia l’universo nella sua totalità insieme al tempo e allo spazio (e dunque al di là di esso non c’è nulla) dovrebbe affermarne, razionalmente, l’eternità; sappiamo che così non è, l’universo sarebbe nato dal nulla! (Come vedremo successivamente la teoria dello stato stazionario dell’universo, che per anni è stata l’unica teoria alternativa a quella del big bang, affermava, proprio per evitare il paradosso di una creazione dal nulla dell’universo, l’eternità dello stesso spazio- tempo, anche se introduceva una forma più raffinata di creazione dal nulla intesa come creazione continua di materia). Da ciò ne deriva una domanda fondamentale: se consideriamo l’universo come il concetto contemporaneo dell’essere, possiamo applicare il principio di non contraddizione all’universo? A questo punto, dobbiamo fare un passo indietro e tornare ai presocratici. Emanuele Severino  ci ricorda che:” È Aristotele ad avvertire che, se non vi fosse altra realtà oltre quella cosmica, la scienza fisica – che ha appunto questa realtà come oggetto di indagine- sarebbe la più universale di tutte le scienze. E cioè non sarebbe più semplicemente una «fisica». E quindi, anche qui, lo sarebbe e non lo sarebbe: non lo sarebbe in quanto il suo oggetto sarebbe la stessa totalità; e lo sarebbe in quanto la realtà cosmica costituirebbe il contenuto concreto e omnicomprensivo della totalità. I primi pensatori realizzano appunto questa situazione, nella quale la realtà cosmica è saputa come totalità.  Risulta chiaro che, secondo l’interpretazione severiniana,  Aristotele non considerasse la realtà cosmica come assoluta, infatti: ”Aristotele ha ragione; perché poi, per suo conto (ma anche qui insistendo nella direzione tracciata dal suo maestro Platone), dimostra che il mondo, o le cose fisiche, non sono «tutte le cose», dato che, oltre al mondo, è necessario ammettere una realtà avente una tale struttura che solo ad essa è opportuno riservare la parola Dio.”  Di che struttura sta parlando Aristotele? Della struttura dell’eternità del Motore Immobile. Aristotele e Platone giustificano l’universo diveniente attraverso l’eternità del Motore Immobile e del mondo Iperuranico delle idee. Il divino è l’eternità. La filosofia platonica separa l’essere dal divenire, l’eternità di uno giustifica la caducità dell’altro. Ciò che la metafisica non ha mai messo in dubbio non è la verità dell’essere ma la verità dell’eternità del tempo. Ma oggi? Oggi che la cosmologia afferma che il tempo è nato? Ha ancora senso parlare di eternità? Se il modo fisico e il tempo sono compenetrati e nati dal nulla, che significato ha parlare dell’eternità? Detto in altri termine possiamo applicare la versione aristotelica del principio di non contraddizione all’universo? Il principio di non contraddizione così recita: “È impossibile che la stessa cosa convenga e insieme non convenga a una stessa cosa e per il medesimo rispetto”(altre versioni aggiungono anche “nel medesimo tempo). Possiamo negare la validità del principio di non contraddizione all’universo senza cadere in contraddizione?  Ovvero dando un significato ha ciò che diciamo, possiamo dire che l’universo è nato dal nulla? La risposta, secondo la cosmologia contemporanea è si. La contraddizione non avviene perché nemmeno il principio di non contraddizione era. Il principio di non contraddizione, come il tempo non è eterno. Anch’esso insieme allo spazio, alla materia, all’energia, al tempo e al pensiero era nulla. Prima della singolarità iniziale il principio di non contraddizione non era. (La dove, come avremo modo di sottolineare in seguito, opera la meccanica quantistica le leggi della natura diventano essenzialmente illogiche). Come vedremo il problema più grosso per la cosmologia contemporanea è quello di capire se è possibile affrontare razionalmente la singolarità iniziale, dove la logica cede il posto alla illogicità, e spingersi più in là; ovvero se le leggi della natura siano ancora valide nel comprendere come l’universo sia potuto nascere dal nulla.  È proprio nello andare oltre la singolarità iniziale che il tentativo cosmologico di spiegare la nascita dell’universo diventa in tutto e per tutto una speculazione di tipo metafisico. L’idea della singolarità iniziale diviene ingombrante, come afferma J. D. Barrow: ”Il fantasma della sua presenza nel nostro passato ha dato la stura ad ogni genere di estrapolazioni metafisiche e teologiche, ricavate dalle idee della moderna cosmologia.”  L’ abbandono di ogni legame con l’epistemologia della scienza moderna è totale: al posto del ragionamento induttivo e della sperimentazione, la speculazione matematica prende il sopravvento e diviene l’unica forma di conoscenza possibile intorno all’origine. L’imperativo di Wittgestain di “su ciò di cui non si può parlare si deve tacere” pare venire abbandonato. L’insicurezza di sapere o meno di che cosa si sta parlando quando si affronta la singolarità, arriva direttamente dall’interno della cosmologia: ”Il tempo anteriore, fino al momento stesso della creazione, è ancora in parte un mistero, non solo a causa della nostra imperfetta capacità di applicare le leggi della fisica, ma anche perché non siamo del tutto sicuri di quali siano le leggi della fisica che operano in condizioni estreme.”  Il problema fondamentale per la cosmologia è comprendere se le è possibile dire qualcosa di scientifico e di sensato intorno alla singolarità iniziale. Come focalizza bene la questione John Barrow: “Se l’universo ebbe inizio con una singolarità, dalla quale emerse la materia in uno stato di densità infinita, ci imbattiamo subito in un certo numero di problemi, se vogliamo spingere più a fondo lo studio della cosmologia.«Che cosa» determina le sorti dell’universo emergente? Se lo spazio e il tempo non esistevano prima della singolarità iniziale, che cosa possiamo dire delle leggi della gravitazione, della logica o della matematica? Esistevano prima della singolarità. Se la risposta è affermativa (e sembra che noi lo ammettiamo, quando applichiamo la logica e la matematica alla singolarità stessa), allora dobbiamo riconoscere una razionalità più ampia dell’universo materiale. Inoltre, per comprendere l’attuale stato dell’universo, dovremmo – a quel che sembra- compiere l’impossibile: comprendere la stessa singolarità. Ma essa fu un evento unico nel suo genere: come è possibile ricondurla nell’ambito del metodo scientifico.”  Questa è la conferma più radicale di come la singolarità iniziale sia la versione cosmologica del noumeno kantiano. Come abbiamo visto il dubbio radicale della cosmologia contemporanea è se il “noumeno” possa in un certo senso essere compreso scientificamente. Se la logica (e il principio di non contraddizione), la matematica, il lógos non erano nella singolarità è lecito studiare l’origine dell’universo attraverso la razionalità che potrebbe essere un prodotto derivato e non originario dell’universo? Il logos è antecedente l’universo e in questo senso ne è il fondamento, oppure l’origine dell’universo è essenzialmente di un tipo di razionalità diverso da quello della logica e del principio di non contraddizione e quindi umanamente irrazionale? Il problema è tutto qui: capire se la logica era  nella singolarità iniziale (e magari anche prima) o se la logica non era nella singolarità iniziale; alcuni pensano di si, altri hanno una posizione più scettica. L’alternativa tra conoscibilità e inconoscibilità della singolarità è testimonianza di come la cosmologia sia arrivata ad un punto di problematicità assoluta:”…con la comparsa delle singolarità spaziotemporali, una piccola schiera di fisici sostiene che ci siamo imbattuti nell’ultimo ignoto, un aspetto della realtà che per definizione deve restare per sempre al di là del dominio dell’indagine intellettuale. ”Vediamo a tal proposito come Paul Davies arrivi a caratterizzare la singolarità iniziale sfiorando quasi il misticismo:”… qualsiasi cosa può scaturire da una siffatta singolarità; nel caso del big bang ciò che è scaturito è stato l’universo. La sua creazione coincide con una sospensione per un istante delle leggi fisiche, con un subitaneo lampo di assenza di ogni legge, che ha consentito che qualcosa sorgesse dal nulla. Siamo di fronte a un miracolo vero e proprio – che trascende i principi fisici- e potrebbe ripetersi soltanto in un’altra singolarità nuda.”  Ciò significa che la singolarità iniziale sarebbe da intendersi come il “luogo” in cui la scienza incontra Dio? Al di la della singolarità vi è Dio? Come afferma Paul Davies: ”Nel linguaggio scientifico, Dio avrebbe dovuto manifestare il suo potere mediante la singolarità nuda che contrassegna la creazione tramite il big bang. Indubbiamente non sussiste alcuna incompatibilità tra queste concezioni teologiche e la concezione scientifica, dato che la singolarità, per definizione, trascende le leggi naturali; essa costituisce l’unico luogo dell’universo che lascia adito all’ammissione di un Dio , anche per il più incallito materialista. Ci troviamo dunque a trattare una questione affascinante, al punto d’incontro tra scienza, religione e filosofia, ed è giusto porre la scienza alle strette: possiamo noi scienziati affermare alcunché sulla natura del Dio che avrebbe creato l’universo (per usare il linguaggio della teologia), in base alle  nostre conoscenze, seppure lacunose della singolarità.?”
Ricordiamoci, ancora una volta, prima di procedere, che la religione si basa su un atto di fede, mentre la scienza procede in funzione dei suoi successi sperimentali e della sua essenziale razionalità. Se il Dio creatore, assolutamente trascendente, aggiusta ogni cosa, la singolarità cosmologica ricorda, in un certo qual modo, più che altro un famoso parricidio; un “parricidio mancato” . Detto altrimenti la scienza può spiegare la creazione dell’universo dal nulla? La metafisica, come la metacosmologia, prima o poi, incontrano Dio; se per abbracciarlo o , “ucciderlo”, è un altro problema.
3.7 Metafisica creazionista e metacosmologia
In sintesi, quanto abbiamo detto fin’ora, significa che la cosmologia contemporanea ortodossa diviene una metafisica creazionistica. Questo vuole dire che essa si trascina dietro di se tutti i problemi logici e filosofici che questo comporta, con l’altrettanto “problema teologico” del “se una creazione implichi la necessità ontologica di un creatore”! Paradossalmente la scienza al culmine dei suoi progressi teoretici ritorna ad una concezione creazionista di tipo medioevale. I Padri della Chiesa risolsero il problema tra la necessità logica dell’infinità dell’essere e l’evidenza del divenire del mondo con l’introduzione del principio della creazione dell’essere dal nulla ad opera di Dio. In questo senso la realtà del mondo trovava fondamento nel rapporto tra creatura e creatore che rifletteva il rapporto tra il mondo e Dio. Il significato del mondo si traduceva così in un rapporto di dipendenza assoluta tra il secondo e il primo, dove il divenire del mondo trovava la propria ragion d’essere nel ricongiungimento storico finale tra creatore e creatura, teleleogicamente inteso. Vediamo cosa dice Paul Davies a tal proposito: ”Naturalmente è fondamentale, nella dottrina cristiana e giudaica, il principio secondo il quale Dio creò l’universo in un momento specifico del passato, e gli eventi successivi hanno formato una sequenza che si è svolta in modo unidirezionale. Così un’idea di progressione storica dotata di senso –il peccato originale, il patto, l’incarnazione e la resurrezione, il secondo avvento- pervade queste religioni, ed è in completo contrasto con la concezione greca dell’eterno ritorno.[…] Un aspetto chiave della dottrina giudaico-cristiana della creazione è che il creatore è completamente indipendente e separato dalla sua creazione…”   In questo modo il fondamento dell’essere diveniente veniva posto al di fuori di se stesso, nell’Essere Assoluto e Trascendente.La ragion d’essere del mondo trovava fondamento nella volontà di Dio di crearlo.
La cosmologia agostiniana è illuminante a tal proposito: ”Per Agostino, come per Teurtilliano, la creazione ex nihilo richiedeva un abisso incolmabile tra cielo e terra, l’estrema degradazione del materiale «creato dal nulla, prossimo al nulla».[…] Così entro il 400 d.C., Agostino aveva elaborato una cosmologia curiosamente simile al Big Bang; universo creato dal nulla in un istante, che va degenerando da un’origine perfetta a una fini ignobile, popolato di strane e misteriose creature, conoscibile dal solo intelletto, dalla mente e non dai sensi.”
Se il mondo acquistava un senso per il suo rapporto con Dio che lo creava direttamente dal nulla, l’universo scientifico che rapporto ha con il nulla dal quale proviene? Detto in altri termini, la scienza cosmologica contemporanea è in grado di dimostrare scientificamente l’autofondazione dell’universo o necessità anch’essa dell’intervento divino? Se c’è, che rapporto c’è tra Dio e l’universo? Dio è ancora necessario per dare una risposta alla domanda”Perché l’universo sì da la pena di esistere?”  Come dice il teologo Jean Guitton: ”Che cosa si può pensare di un universo situato tra due  nulla? Solo questo: l’universo che conosciamo non possiede i caratteri dell’Essere in sé; presuppone l’esistenza di un essere diverso da sé, situato al di fuori di sé. Se la nostra realtà è temporale, la causa di questa realtà è ultratemporale, trascendente rispetto al tempo come allo spazio. Siamo così prossimi a quell’Essere che la religione chiama Dio.”  Ho, più scientificamente, l’universo può autofondarsi come scriveva Paul Davies nel 1993: ”…Se si ammette che qualcosa –e cioè Dio- possa esistere senza causa, viene meno la necessità del concetto di Dio. Infatti, anche l’universo stesso potrebbe esistere senza una causa esterna a se. Supporre  che l’universo sia causa di se stesso richiede una sospensione dell’incredulità non maggiore che dichiarare che Dio è causa di se stesso”  (In questo senso l’universo diverrebbe la versione scientifizzata del panteismo antico, una natura divina e divinizzata).
Ciò ci induce a domandarci: la teologia e la scienza che rapporto mantengono, nell’epoca della rivoluzione creazionista della cosmologia, l’una con l’altra? Quale viene prima e quale dopo? Una conduce all’altra o entrambe conduco a qualcosa di essenzialmente diverso? In che senso dobbiamo interpretare l’affermazione di Paul Davies che dice: ”Può sembrare strano, ma ho l’impressione che la scienza ci indichi la strada verso Dio con maggior sicurezza di quanto non faccia la religione. A torto o a ragione, ciò che è certo è che la scienza ha raggiunto oggi un punto in cui può affrontare seriamente questioni ritenute un tempo di ordini esclusivamente religioso: e questo fatto stesso è indicativo delle vastissime implicazioni della nuova fisica.”  Ora, tenendo sempre ben presente la rivoluzione concettuale che la cosmologia ha introdotto sul problema della nascita del tempo, affrontiamo il problema della causa dell’universo. Ricordiamoci però, che ci troviamo davanti al paradosso fondamentale dell’esistenza umana, a ciò che rende uomo l’uomo: la ricerca di una causa  e di un senso del mondo.
Tutto ruota intorno al  tipo di causa  cui arriveremo (o vorremo arrivare!). Dire che la causa dell’universo è Dio o dire che l’universo si sia autocreato attraverso una singolarità comporterà pure la medesima sospensione dì incredulità, ma la prima ipotesi significherebbe che qualcuno ha voluto dare un senso (magari moralmente inaccettabile, ma  comunque un senso) all’esistenza umana, la seconda implicherebbe invece che il caso sia il motivo del nostro esserci. Tra  le due alternative, la prima darebbe un poco di speranza in un senso metafisico dell’esistenza, la seconda ridurrebbe il senso ad una attribuzione umanistica al mondo, che di per sé, non ne avrebbe. È utile dire fin d’ora, che qualunque delle due alternative si scelga, la sicurezza epistemica della ragione non potrà sostenere la fondatezza nè di una nè dell’altra. Il che equivale a dire che a fondamento del reale troveremo sempre l’irrazionale, inteso come super-razionalità (Dio), o l’irrazionale inteso come caso od assolutamente inconoscibile (singolarità). In questo senso trova spiegazione l’affermazione iniziale di questo capitolo quando affermavo che la cosmologia contemporanea diventerebbe la fondazione scientifica del nichilismo; dire che l’universo si sia autogenerato dal nulla eliminando la volontà trascendente di Dio, implica trovare un fondamento metafisico dell’universo nel nulla. L’angoscia del nulla diventa, da sentimento antropologico, la fondazione esistenziale dell’universo. Togliendo Dio rimane il nulla dal quale l’universo proviene e nel quale tornerà. Il “perché?”, inutile dirlo, rimarrà sempre una scelta personale.
3.8 Cosmologia ed empirismo logico
La conferma di trovarsi, nel momento in cui si affronta il problema della causa prima, davanti ad un interrogativo essenzialmente metafisico, arriva direttamente dall’interno della comunità cosmologica, dove una sorta di riverenza verso il sapere teo-filosofico, nel momento in cui ci si pone la domanda della causa dell’universo, è evidente ed inevitabile. Ciò comporta un’assunzione “coscienziosa” di incapacità euristica del mondo scientifico che si trova ad affrontare problemi che la filosofia ha cercato di risolvere dal momento della sua nascita; a tal proposito Paul Davies afferma: “ Che cosa provocò quel subitaneo evento esplosivo che fu la genesi dell’universo, un universo in rapida espansione e di densità enorme in quel particolare momento? A domande di questo genere è quasi impossibile dare una risposta e forse dare un significato. Se il tempo stesso esiste solo a partire dalla creazione, nozioni come causa, effetto e «momento particolare» hanno ben poco o nessun senso quando vengono riferiti alla creazione. Il linguaggio che viene usato per comunicare queste idee presuppone già i concetti familiari e fondamentali di spazio e tempo e tende ad avere una forte connotazione filosofica e religiosa. Forse ci attendiamo troppo dalla scienza se pensiamo che possa dare una chiara risposta a questi interrogativi.”  (Questo dimostra come l’ideale epistemico di una Teoria di ogni cosa, sia in realtà solamente un ideale e solo quello.)
A questo proposito è importante sottolineare, come una parte del mondo scientifico prenda coscienza dell’impossibilità di raggiungere risposte definitive sulle domande radicali, raggiungendo però la  consapevolezza che questo genere di radicalità non è eliminabile perché priva di senso, ma il traguardo ideale dell’ultima frontiera del sapere scientifico, che ritorna ad occuparsi delle “domande” di senso tipiche della filosofia. Questo significa che la cosmologia contemporanea, dall’interno della scienza, sancisce in modo definitivo la fondamentale erroneità epistemologica di tutto l’empirismo logico e neopositivistico. In particolare il principio di verificazione perde ogni valenza conoscitiva, all’interno della cosmologia, per due motivi fondamentali: il primo, perché il principio di verificazione, in base al quale il significato di una proposizione acquista  un senso solo se può essere verificato attraverso il metodo della sperimentazione, non può essere applicato all’origine dell’universo, che comunque, come abbiamo visto finora, è affrontata scientificamente; il secondo, derivante dal fatto che il principio di verificazione elimina ogni capacità euristica alla matematica intesa essenzialmente come tautologia, mentre, come vedremo dettagliatamente nel capitolo successivo, la cosmologia procede, nell’analisi dell’origine dell’universo, quasi esclusivamente attraverso l’elaborazione di modelli matematici.  In questo senso studiare l’origine dell’universo sarebbe privo di senso. La realtà, come abbiamo visto, è assai differente.
3.9 La ragione, l’universo, il nulla e Dio
Facciamo ora, prima di affrontare direttamente la questione di come la cosmologia spieghi la causa dell’universo, un breve riassunto della diverse nature dell’universo che la ragione ci offre: 1) L’universo (l’essere) è spazialmente infinito ed eterno. 2) L’universo è spazialmente infinito ma creato e quindi temporalmente definito. 3) L’universo è finito, ma eterno. 4) L’universo è finito e temporalmente definito. La ragione ci dice che per 1) Ciò è inconcepibile, la ragione non può sintetizzare l’infinito e quindi l’infinito è essenzialmente irrazionale. Per 2) Oltre ad esserci l’irrazionale dell’infinito vi è l’irrazionale della creazione dal nulla. Per  3) Se l’universo è finito vuol dire che  è finito dal nulla il che è irrazionale perchè il nulla non è. Per 4) L’universo è finito dal nulla e creato dal nulla, assolutamente irrazionale. Il fondamento dell’essere, secondo la razionalità umana è, quindi, irrazionale. La ragione non riesce a dare ragione dell’essere, e nello stesso tempo non riesce a dare ragione di se stessa, ad autofondarsi. Qual è, allora la soluzione, alle quattro alternative sopra riportate? Le risposte sono due: 1) Un’entità soprauniversale (Dio) assolutamente potente 2) L’autocreazione dell’universo. La prima soluzione metterebbe a posto  la 2, la 3, la 4 alternativa e non sarebbe  necessaria per la 1, però porterebbe la ragione alla domanda di chi ha creato Dio, anche se ciò sarebbe facilmente evitabile affermando che Dio è causa di se stesso; ma questa risposta porterebbe direttamente alla soluzione 2 dove anche l’universo potrebbe essersi autocreato senza necessità di un’entità soprauniversale creatrice, ma asserire che l’universo si sia autocreato comporterebbe che esso già fosse in qualche modo e quindi all’affermazione razionale della sua eternità ed infinità. In definitiva l’unica risposta possibile potrebbe, accettando un’essenziale incompiutezza della ragione umana, essere la prima alternativa dell’infinità dell’universo. Il problema, anche se l’universo fosse  realmente infinito ed eterno (ma sappiamo che la cosmologia ci dice che così non  è), sarebbe comunque: perché l’universo e non il nulla? Il problema della razionalità dell’universo, che sarebbe il risultato della singolarità iniziale, ma non l’origine, è affrontato direttamente dal Paul Davies: ”Se il ragionamento umano riflette qualcosa della struttura del mondo fisico, sarebbe corretto affermare che il mondo è una manifestazione della ragione? Usiamo la parola razionale per intendere in conformità alla ragione, così la mia domanda è se, o fino a che punto, il mondo sia razionale. La scienza è basata sulla speranza che il modo sia razionale in tutti i suoi aspetti osservabili. È possibile che vi siano aspetti della realtà che vanno oltre il potere del ragionamento umano.[…] Così dobbiamo essere consapevoli della possibilità che esistano cose la cui spiegazione non potremmo mai comprendere, e magari altre con non hanno spiegazione alcuna.”  Ovunque volgiamo lo sguardo per scorgervi la realtà troviamo sempre l’orizzonte dell’essere, del nulla o di Dio. Tutto sta nel che cosa vogliamo vedere! L’unica certezza che possiamo avere è che, se c’incamminiamo sui sentieri della ragione che conducono a questo orizzonte, scopriamo ben presto che sono sentieri interrotti! Vediamo ora qual è il sentiero della cosmologia contemporanea.
3.10 Tentativi di abolire una” causa prima”
Abbiamo visto come la teoria del big bang comporti  una serie di paradossi razionali tra i quali il più importante è sicuramente l’affermazione della nascita del tempo. Una proposta così scientificamente “rivoluzionaria” e così marcatamente creazionista ha trovato notevoli difficoltà a diventare la teoria cosmologica standard proprio a causa dell’avversione dei fisici di introdurre, in una teoria scientifica, il concetto di creazione, tipicamente teologico. Nel corso del XX secolo si sono avvicendate teorie alternative a quella del big bang e versioni diverse di quest’ultima, proprio evitare il problema di una origine del tempo e confermare la più “filosoficamente tradizionale” eternità dell’universo. Lo stesso Einstein non volle mai accettare l’idea, per altro tratta da alcune soluzioni dell’equazione della sua teoria generale della relatività, di un universo in espansione e quindi nato nel tempo; la sua visione era quella di un universo statico ed eterno.”  Il tentativo maggiormente riuscito, per un periodo limitato di tempo, di proporre un modello diverso che negasse la necessità della creazione fu fatto nel 1947  dagli astrofisici Hoyle, Bondi e Gold: secondo questo modello, chiamato dell’”universo stazionario”, il cosmo sarebbe sempre uguale a se stesso eterno ed immutabile attraverso la creazione continua di materia dal nulla.  Affermando l’eternità dell’universo veniva meno il bisogno di un momento della creazione e di conseguenza la possibilità teorica di un creatore veniva “filosoficamente” evitata. “Molti scienziati, compresi coloro che diedero origine alla teoria dello stato stazionario, si resero conto che abolendo il big bang avevano eliminato una volta per tutte il bisogno di qualunque tipo di spiegazione soprannaturale dell’universo.”  Successivamente il modello dello Stato Stazionario venne abbandonato per evidenti prove  a suo sfavore e a sostegno di un universo in espansione. Il big bang divenne, dopo la confutazione della teoria di Hoyle, la teoria standard cosmologica. Un altro tentativo di evitare la nascita del tempo mantenendo valida la teoria di fondo del big bang è quella del modello dell’universo oscillante di Alexander Friedmann  dove ”… il big bang sarebbe soltanto l’evento esplosivo più recente di una catena infinita di universi e il cosmo oscillerebbe in modo ciclico fra una dimensione massima, corrispondente al punto estremo dell’espansione, e un globo di fuoco estremamente denso e caldo, che segnerebbe la fine di un universo e al tempo stesso l’inizio di un altro.”  (da notare l’estrema somiglianza concettuale con il mito dell’eterno ritorno d’ispirazione greca). Il modello dell’universo oscillante venne abbandonato proprio per motivi teorici inerenti alla singolarità iniziale. Da allora la cosmologia ha dovuto affrontare il suo problema più importante: è possibile fornire una spiegazione scientifica della nascita dell’universo, la dove, nella singolarità iniziale, ogni legge fisica viene meno? A prima vista sembrerebbe di no, ma la cosmologia, oggi, cerca di arrivare ad un spiegazione di come l’universo sia nato dal nulla. In che modo? Come dice John Gribbin: ”Il problema di che cosa sia accaduto esattamente nei pressi della singolarità, e di come i processi quantistici abbiano dato origine al big bang, è una delle speculazioni cosmologiche attuali più importanti, e i tentativi di rispondere a questa domanda sono alla base di gran parte delle ricerche cosmologiche in corso.”  La risposta a tutto sembrerebbe essere l’applicazione della meccanica quantistica alla singolarità iniziale. Ma, come abbiamo visto poco fa, nel momento in cui si affronta il “prima” della singolarità iniziale le teorie scientifiche lasciano il posto ai teoremi, ovvero a delle procedure matematiche più o meno verosimili; il metodo scientifico della spiegazione lascia il passo alla congettura. Ancora una volta abbiamo la conferma di come la cosmologia contemporanea ritorni, inconsciamente, ad essere una metafisica di tipo presocratico e come essa realizzi in pieno quell’ideale popperiano di un “ritorno ai presocratici”: ”Nelle opere successive e soprattutto in Congetture e confutazioni  (1969) Popper ribadiva e sviluppava il suo punto di vista che frattanto veniva sempre più largamente accettato nel campo della scienza e della filosofia. A quella che sembrava la debolezza di quel punto di vista, cioè la casualità delle congetture, l’arbitrarietà con cui esse possono venire avanzate, Popper rispondeva che questa casualità c’è, ma è limitata: esse sono sempre il prodotto di una immaginazione critica, che, che sceglie la congettura più verosimile fra tutte quelle che, in certo caso, sono possibili. Questo è quanto già facevano i primi filosofi greci che, ammettendo l’acqua o l’aria o il fuoco come elemento primordiale, formulavano congetture che poi venivano confutate o corrette dai filosofi posteriori. «Torniamo ai presocratici!» è il motto con cui Popper ha riassunto la sua posizione del 1970.”  Vediamo qual è la congettura più “verosimile” che la cosmologia contemporanea fornisce per ipotizzare come l’universo abbia avuto origine.
3.11 La “causa” quantica
Fin’ora abbiamo visto che, anche in cosmologia, ogni volta che si parla di origine in realtà si intenda qualcosa di originato, come asseriva Thomas Mann. In ordine abbiamo detto che: l’origine dell’universo è nel big bang; poi abbiamo affermato che il big bang sarebbe stata l’esplosione di una condizione più originaria, la singolarità; ora vedremo come la singolarità sia, secondo le più recenti speculazioni cosmologiche, il risultato di un fluttuazione quantistica. Come afferma Paul Davies: ”Che cosa ha causato l’improvvisa comparsa dello spazio durante il «big bang»? La singolarità? Ma una singolarità non è una cosa, è il contorno di una cosa (lo spaziotempo). E così siamo a un  punto morto.”
Abbiamo anche detto, però, che la singolarità iniziale sarebbe il limite invalicabile della conoscenza umana oltre la quale le leggi della natura non sarebbero più valide, compreso il principio di non contraddizione. I rapporti di causa ed effetto vengono meno perché non c’era un tempo anteriore. Allora come può la cosmologia contemporanea pretendere di spingersi oltre sperando di dire qualcosa di sensato?  “Se si accetta l’idea che lo spazio, il tempo, e la materia ebbero origine in una singolarità che rappresenta il limite assoluto, nel passato, per l’universo fisico, ci troviamo di fronte a un certo numero di rompicapo. C’è ancora il problema di ciò che ha causato il big bang. Questo interrogativo, deve, comunque, essere visto sotto una nuova luce, perché non è possibile considerare il big bang come un effetto di qualche cosa accaduto prima di esso, come generalmente succede nelle discussioni sui fenomeni causali. Ciò significa forse che il big bang fu un evento senza causa? Se le leggi della fisica cessano di valere nel punto della singolarità, non ci può essere nessuna spiegazione che si basa su queste leggi. Perciò, se si insiste su una ragione per il big bang, allora questa deve trovarsi oltre la fisica.”  La ragione già deve cedere il passo di fronte all’infinito della singolarità iniziale; ma, prima della singolarità, non c’è che il nulla. Come può la cosmologia affrontare il nulla? La risposta è: “attraverso la meccanica quantistica.” Come afferma Paul Davies nel suo libro “Il cosmo intelligente” del 1988: ”La chiave per realizzare questo apparente miracolo è la fisica quantistica. I processi quantistici sono intrinsecamente non predicibili  e indeterministici; è in generale impossibile predire come un sistema quantistico si comporterà da un dato istante a quello successivo. La legge della causa e dell’effetto, così solidamente radicata nel terreno dell’esperienza quotidiana, qui fallisce. Nel mondo dei quanti le trasformazioni spontanee non sono solo permesse, ma sono inevitabili.”
A questo punto è importante fare alcune precisazioni. Siamo arrivati ad un punto, in cui ogni cosa che viene detta, deve essere presa con le pinze, nel senso che dobbiamo stare molto attenti al significato che attribuiamo alle parole che adoperiamo per tentare di descrivere la nascita dell’universo; nel momento in cui avviciniamo la meccanica quantistica dobbiamo renderci conto che affrontiamo ordini di realtà che sono completamente diversi dal senso comune del mondo che possiamo avere. La problematicità semantica della descrizione della meccanica quantistica deriva, in questo modo, da due aspetti differenti ma correlati: il primo  dipendente dal fatto che, affrontando le dimensioni atomiche e sub-atomiche della singolarità iniziale, il normale rapporto di causa ed effetto del mondo macroscopico viene meno per abbracciare un sostanziale “indeterminismo ontologico”; il secondo, derivato dal fatto che la meccanica quantistica parla, fondamentalmente, attraverso il linguaggio matematico e che ogni trasposizione letterale e grammaticale di teorie essenzialmente matematiche, conduce inevitabilmente ad una riduzione “segnica” e pertanto concettualmente riduttiva rispetto all’originaria interpretazione logico-matematica. Questo porta ad un’evitabile senso di estraniazione intellettuale dovuta all’angoscia che deriva dall’astrusità intrinseca della meccanica quantistica stessa. A tutto ciò, può venirci in soccorso, il ricordare, ancora una volta, che secondo molti scienziati, non ha senso spingersi oltre la singolarità iniziale per parlare di qualcosa che, in linea di principio non può essere conosciuta. Ciò significa che la cosmologia quantistica (così viene definita la nuova frontiera della cosmologia che cerca di attuare una fusione con la meccanica quantistica) in realtà procede esclusivamente attraverso teoremi matematici congetturati su quello che potrebbe essere l’al di là della singolarità. In questo modo, però, l’unico criterio per sapere se ciò che viene asserito dalla cosmologia quantistica abbia un senso o meno, è rintracciabile esclusivamente all’interno della cosmologia quantistica stessa; ovvero, come possiamo essere sicuri che ciò che dicono i cosmologi al riguardo della singolarità iniziale abbia un fondamento di qualche tipo (se logico o illogico non è un problema dal momento che sappiamo che stiamo parlando di realtà fondamentalmente illogiche e indeterministiche). In breve, possiamo fidarci di quello che ci dicono i cosmologi sulla nascita dell’universo? Per evidenziare come, la cosmologia quantistica, sia intrinsecamente complessa vediamo a mo d’esempio come Paul Davies, che nel 1988 affermava che la cosmologia quantistica era la chiave per comprendere la nascita dell’universo, nel 1992 scrivesse: ”C’è, comunque, una minuscola scappatoia. Questa scappatoia è chiamata meccanica quantistica.” Nel giro di quattro anni una chiave è diventata una minuscola scappatoia. Questo per ricordarci come siamo di fronte a una “scienza” estremamente indefinita (come d’altronde è l’oggetto della sua indagine). La cosmologia quantistica arriva a diventare una metafisica in tutto e per tutto. È in questo senso che dovremmo chiamarla “metacosmologia”. Ora tenterò di esporre in modo sintetico in che modo la cosmologia contemporanea arrivi ad affermare l’impossibile, ovvero, come l’universo sia potuto nascere dal nulla.
La meccanica quantistica è l’altra grande rivoluzione scientifica, insieme alla relatività generale di Einstain, che ha caratterizzato il XX secolo. Mentre la prima si occupa di descrivere l’universo su scale cosmologiche, la seconda ha per oggetto d’indagine il mondo dell’infinitamente piccolo: la scala atomica e sub-atomica. I due approcci sono completamente diversi: il primo, pur stravolgendo i concetti tradizionali dello spazio e del tempo, rimane una teoria con presupposti filosofici fondamentalmente deterministici intorno alla natura della realtà. La seconda, invece, abbandona ogni fondamento meccanicistico per descriver il mondo subatomico in base a processi assolutamente probabilistici ed imprevedibili.  A fondamento della meccanica quantistica (il cui iniziatore fu il fisico danese N. Bhor) vi è il famoso principio di indeterminazione di Heisemberg che afferma l’essenziale comportamento probabilistico delle particelle sub-atomiche e l’impossibiltà di prevederne, contemporaneamente, la posizione e la velocità. Ciò significa che a livello atomico gli eventi che accadono non sono legati da quel principio di causalità che caratterizza gli oggetti del mondo macroscopico, ma si basano su una fondamentale caoticità ed imprevedibilità.  È importante sottolineare come questo comportamento caotico non sia il frutto di una incapacità osservativa del soggetto conoscente ma l’essenziale modo d’essere delle particelle subatomiche. La caoticità è l’essenza comportamentale dell’atomo.  Ma la meccanica quantistica non abbandona solo il principio di causalità, ma, anche, il più fondamentale principio di non contraddizione aristotelico che sta alla base dell’intera logica occidentale: «È impossibile che, per il medesimo rispetto, la stessa cosa sia e non sia.» (cioè esista e non esista, sia così e non sia così, sia così e il contrario di così). La meccanica quantistica, a questo proposito, arriva ad affermare che una particella atomica si comporta, contemporaneamente, sia come una particella che come un’onda; ovvero è una “cosa” e un’altra nel medesimo tempo. (anche qui è necessario sottolineare che questi effetti non sono il risultato di procedure d’osservazione erronee, o di effetti psicologici, ma modi d’essere reali). In sintesi per la meccanica quantistica non è contraddittorio affermare che una particella può comparire e scomparire a caso dal nulla e nel nulla. Adesso possiamo comprendere la famosa frase einsteiniana riferita alla meccanica quantistica: ”Dio non può giocare a dadi”. A questo punto il lettore potrebbe chiedersi cosa centra la meccanica quantistica con l’universo, che è la cosa reale più grande che si possa immaginare e quindi completamente altro dall’infinitamente piccolo. Ma, come abbiamo affermato nei paragrafi precedenti, l’universo non è sempre stato come lo vediamo oggi, cosi complesso e strutturato. “Tutto ciò che è” era concentrato in un punto matematico di densità infinita. Ora un punto matematico è infinitamente più piccolo di un nucleo atomico e di conseguenza, se la meccanica quantistica opera a livelli atomici, è possibile che abbia operato, in un certo senso, nella singolarità iniziale.  Quando ci avviciniamo alla singoralità iniziale e arriviamo ad essa quando sono trascorsi appena 10ˉ43 secondi, sfioriamo il cosiddetto tempo di Plank che è estremamente significativo perché “…. Quando raggiungiamo questo tempo straordinariamente remoto, la grandezza dell’universo visibile diventa più piccola della sua lunghezza d’onda quantistica ed è quindi circonfusa dall’indeterminazione quantistica. Quando quest’ultima sovrasta tutto, non conosciamo la posizione di nessuna cosa, e non possiamo neppure determinare la geometria dello spazio.”  Questa è l’ultima frontiera della cosmologia contemporanea: la cosmologia quantistica, la forma più pura ed assoluta di metafisica contemporanea. Intorno alla singolarità iniziale i processi quantistici devono essere stati importanti. In particolare le fluttuazioni descritte dal principio di indeterminazione di Heisemberg devono avere avuto un profondo effetto sulla struttura e sull’evoluzione del cosmo nascente. E qua torniamo al dilemma fondamentale della cosmologia contemporanea: se la singolarità è l’assolutamente inconoscibile perché ogni legge viene meno, che cosa si può dire di sensato intorno alla singolarità, anche ammettendo la possibilità che la meccanica quantistica abbia avuto qualche influenza, visto che essa è essenzialmente imprevedibile e illogica? Le leggi naturali si trasformano in teoremi di probabilità matematica. L’universo intero sarebbe nato dal nulla ad opera di una più o meno probabile “fluttuazione quantistica”. Il sentiero interrotto della cosmologia quantistica è ben espresso sempre da Paul Davies: ”L’ipotesi è notevole in quanto l’intero universo nasce semplicemente dal nulla, in accordo con le leggi della fisica quantistica, e si crea da sé la materia e l’energia necessarie per costituire il cosmo che conosciamo. Questa nascita spontanea riguarda tutti gli oggetti fisici, spazio e tempo compresi. Il modello quantistico surriferito preferisce non postulare una singolarità iniziale inconoscibile che dia vita all’universo, ma cerca di spiegare ogni cosa rimanendo nell’ambito delle leggi della fisica. È un obbiettivo molto ambizioso, e che ci turba anche un poco. Noi siamo, infatti, abituati all’idea che, per avere qualcosa, bisogna prima «metterci  dentro» qualcosa d’altro; l’idea che si possa avere qualcosa per niente (o dal niente) ci è estranea.”  Se fin’ora abbiamo detto che nella singolarità le leggi della fisica vengono meno, la cosmologia quantistica afferma che “un certo tipo di leggi”, essenzialmente diverse dalle comuni leggi fisiche, potrebbero in linea di principio descrivere la singolarità. La cosmologia contemporanea dice che l’universo è nato dal nulla attraverso una fluttuazione quantistica. Una  super-legge sarebbe la Causa dell’universo. E allora, siamo proprio sicuri di essere giunti finalmente all’Origine e non all’originato? La ragione non si può eliminare come se niente fosse, la ragione è insopprimibile: è forse questo il dramma umano? La ragione dice : ”Ma, e le leggi? Occorre che già esistessero, le leggi, in modo che l’universo potesse esistere. Bisogna in un certo senso che la fisica quantistica esista affinché una transizione quantica possa generare il cosmo.”  Parmenide direbbe, e ora si comprende la presenza fondamentale della sua figura in questa tesi, che le fluttuazioni quantistiche sono, in quanto se fossero nulla non se né potrebbe neanche parlare. Il lógos dell’essere (che potrebbe non essere quello umano) sarebbe dunque  eterno ed infinito. Ciò significa che la cosmologia non incontra il puro nulla di Parmendie, ma un nulla che potrebbe “contenere” una razionalità ( o irrazionalità) anteriore. Se questo tipo di razionalità sia Dio (Deismo o Panteismo) o la mente di Dio (Teismo) è il vero ed insuperabile problema che la ragione umana non potrà mai risolvere. La ragione umana, usando una metafora, è il cerchio senza bordo; il trono e il fardello dell’ uomo. E noto che in alcune discussioni con Einstain, Karl Popper si rivolgesse al primo chiamandolo “letteralmente” Parmenide: Popper identificava l’essere parmenideo con l’universo quadridimensionale, eterno, immutabile e senza origine di Einstain. (Ed Einstain si trovava fondamentalmente d’accordo con questa definizione.) Addirittura, Popper arrivò a definire Parmenide come il primo fisico teorico.   Come abbiamo visto in precedenza, la filosofia successiva a Parmenide dovette cimentarsi nel conciliare l’inconciliabile: l’essere del divenire con il divenire dell’essere. Empedocle, Platone, Aristotele, cercarono di uccidere metaforicamente il padre Parmenide ricercando una congiunzione metafisica tra l’essere e il divenire. Secondo Emanuele Severino tutti questi parricidi sono parricidi mancati. L’agonia di parmenide è infinita.  Se il tentativo della cosmologia contemporanea di conciliare l’essere con il divenire sia un parricidio riuscito o mancato, è una conclusione che concedo volentieri al lettore. Chiudo questo paragrafo con una citazione di Stephen Hawking, che, come abbiamo visto nel secondo capitolo di questa tesi, è oggi il massimo assertore dell’ideale epistemico della cosmologia contemporanea, ovvero della possibilità umana di arrivare a conoscere la mente di Dio: “E anche se ci fosse un unico insieme di leggi possibili, esso sarebbe solo un insieme di equazioni. Che cos’è che influssa il fuoco nelle equazioni, dando loro un universo da governare? La teoria unificata definitiva è così cogente da determinare la propria esistenza? Benché la scienza possa risolvere il problema di come l’universo ha avuto inizio, non è in grado di rispondere alla domanda: «Perché l’universo si è dato la pena di esistere?». Io non ho una risposta da dare.”  La domanda di senso sembra non avere risposte.
Cap. 4
VOCI FUORI DAL CORO
Come il lettore avrà notato le attuali teorie cosmologiche hanno ben poco a che fare con il tradizionale metodo scientifico della sperimentazione. Le teorie, che in linea di principio, dovrebbero essere passibili di falsificazione sperimentale, in realtà diventano, esclusivamente, complicate strutture matematiche ideali che dovrebbero descrivere, o meglio rappresentare, la complessità dell’universo reale. In questo senso trova spiegazione l’affermazione fatta nel capitolo precedente secondo la quale la cosmologia contemporanea parrebbe, a prima vista, fondamentalmente aristotelica, ma come sia in realtà, essenzialmente platonica, nel senso di considerare i teoremi matematici alla stregua del mondo eterno ed iperuranico delle idee platoniche. Ciò dipende dal fatto che la cosmologia, assumendo la teoria del big bang come ortodossa, si vede costretta ad affrontare la singolarità iniziale esclusivamente attraverso congetture di tipo matematico. In questo senso, l’unico criterio di validità possibile per dei teoremi matematici, che in linea di principio non sono confrontabili con la realtà, diventa la loro intrinseca esteticità numerica; nel senso che l’unico criterio di veridicità diviene la bellezza e la semplicità di una teoria matematica. Il problema, abbiamo visto, sorge dal fatto che la teoria del big bang è diventata la base di partenza della cosmologia contemporanea. Il big bang, abbiamo anche visto, introduce, però, tutta una serie di problemi intorno alla nascita del tempo. La cosmologia dello stato stazionario e dell’universo oscillante tentavano di evitare il problema filosofico della nascita del tempo. In questo abbiamo la conferma di come, in realtà, ogni teoria scientifica sia, in qualche modo, preceduta e sorretta da una visione filosofica di base che sovente si trasforma in ideologia. Sicuramente la teoria del big bang è oggi un’ortodossia, ma secondo alcuni è anche, e soprattutto, un’ideologia. Vediamo come l’eterodossia di oggi, nel campo della cosmologia, si chiami “Cosmologia del plasma”.
4.1 La cosmologia del plasma
Nel 1991 è uscito un libro dal titolo provocatorio “Il big bang non c’è mai stato” del fisico americano Eric J. Lerner che traeva le conclusioni di un ristretto numero di fisici, all’interno del quale, la figura di maggior rilievo è quella di Hannes Alfvén, fisico svedese vincitore del premio Nobel. Inutile dire qual’era la conclusione fondamentale del libro e altrettanto superfluo è sottolineare quale considerazione ebbe all’interno del mondo accademico cosmologico: praticamente nessuna. In questa tesi non è importante verificare o meno la validità delle conclusioni del libro di Lerner, ma è importante evidenziare come, visioni rivoluzionarie, siano in grado di sottolineare i pregi e i difetti di una teoria tradizionale.
4.2 Enti più vecchi dell’essere!
Secondo Lerner c’è subito qualcosa di sbagliato nella teoria del big bang; qualcosa che va contro il buon senso. Abbiamo detto che secondo la teoria del big bang l’universo sarebbe nato dai 15 ai 20 miliardi di anni fa in uno stato di semplicità assoluta. Il tempo trascorso dalla creazione sarebbe stato necessario, dunque, perché si formassero le strutture complesse quali i pianeti, le stelle, le galassie, gli ammassi di galassie e l’uomo che vediamo intorno a noi. Il problema è che sono state scoperte entità strutturale chiamate super-ammassi che creano un po’ di scompiglio: ”Misurando la velocità attuale delle galassie, e la distanza che la materia deve aver percorso per giungere a formare così vaste strutture, gli astronomi sono in grado di stimare quanto tempo è occorso per costruire i sistemi di superammasso, ossia, possono dire quanto vecchi sono. La risposta a quest’ultimo interrogativo è, grosso modo, sessanta miliardi di anni. […] L’esistenza di oggetti più vecchi del big bang è una diretta contraddizione dell’idea stessa che l’universo sia improvvisamente emerso da una grande esplosione.”  L’atteggiamento che i cosmologi hanno di fronte ha questa evidenza è per Lerner la prova inconfutabile di come la teoria del big bang sia una vera e propria ideologia scientifica, o meglio, metafisica, in quanto dimostrerebbe l’abbandono totale da parte della scienza di quei presupposti sperimentali che dalla metafisica, la scienza si dovrebbe distinguere, infatti: ”Come hanno reagito i cosmologi a questa crisi di età? Tipicamente, nessuno ha preso in considerazione l’idea che la teoria stessa del big bang possa essere errata.[…] Questa non è altro che una rinuncia all’idea che l’ipotesi scientifica possa essere sottoposta al test dell’osservazione.”  L’attacco di Lerner alla cosmologia accademica è ancora più profondo ed arriva, in certi punti, ad identificarsi con l’accusa di un fondamentalismo teo-scientifico che andrebbe a cancellare, in un sol colpo, tutti i progressi che la scienza ha raggiunto da Galileo ad oggi: “Questo rinnovato groviglio di scienza, autorità e fede, questa Controrivoluzione Scientifica, è un pericolo per l’intera impresa scientifica. Quando le più inverosimili pretese teoriche vengono accettate su parola della sola autorità scientifica, è rotto il legame con l’osservazione.[…] Questo è un ritorno a una cosmologia costruita sulla fede, e non sull’osservazione….”  Probabilmente Lerner si riferisce alla somiglianza metaforica tra la teoria del big bang e la tradizione giudaico-cristiana della creazione al nulla.
4.3 Una questione di metodo
Alla fine del terzo capitolo abbiamo affermato come la cosmologia contemporanea arrivi ad essere, fondamentalmente, una metafisica di tipo Platonico, nel senso di attribuire alla conoscenza matematica deduttiva, l’unica possibilità logica di dedurre come l’universo sia potuto nascere dal nulla. Come dice lo stesso Lerner: ”Per gli scienziati precedenti ai nostri di oggi, e per la maggioranza degli scienziati di oggi, tranne che in cosmologia, le leggi matematiche sono descrizioni della natura, non la realtà che sta dietro le apparenze. Eppure oggi i cosmologi assumono, come facevano Platone e Tolomeo, che l’universo sia l’incarnazione di leggi matematiche preesistenti, che poche semplici equazioni, una «Teoria del Tutto», siano in grado di spiegare il cosmo tranne per «l’alito di fuoco» che dette via a queste equazioni.”  In questo senso la cosmologia contemporanea abbandona completamente il metodo induttivo per abbracciare esclusivamente la via euristica della deduzione; ed è proprio contro questo modo di procedere che Lerner applica le sue critiche: ” Questo, egli dice, è appunto il metodo della cosmologia convenzionale oggi: partire da una teoria matematica, da quella teoria dedurre in che modo l’universo deve essere cominciato, quindi procedere in avanti da quell’inizio al cosmo del presente: Il big bang scientificamente cade perché esso intende derivare l’universo attuale, storicamente formatosi, da un’ipotetica perfezione passata.”  A questo proposito vediamo cosa pensa Lerner di quegli autori, ovvero, S. Hawking e P. Davies, che sono stati al centro della nostra attenzione nei capitoli precedenti:” Le idee della cosmologia moderna sono anche diventate sempre più legate alla teologia. In libri come “Dio e la nuova fisica”, di Paul Davies, libri che ora riempiono gli scaffali e le librerie, scienziati e divulgatori argomentano che le teorie del Big Bang conducono a una prova dell’esistenza di Dio  o per lo meno permettono di conoscere perché sia nato l’universo.”  Sulle teorie della fluttuazione quantistica di Hawcking è ancora più ironico e dissacrante:” Alcuni cosmologi, ad esempio Stephen Hawking, rispondono con idee persino più bizzarre: forse, essi speculano, minime pulsazioni nello spazio che ci circonda, intorno a noi e persino dentro di noi, danno luogo a ogni istante a universi submicroscopici, infime bolle di spazio-tempo che poi vengono strizzate via dal nostro universo formando un altro universo. Da ogni punto, addirittura dal nostro naso, si formano ogni secondo quadrilioni di universi. Il nostro non è che uno di questi universi, formatosi presumibilmente a partire dalla punta del naso di qualcuno in un altro, più antico, universo.”  I dubbi, di trovarsi d’innanzi a teorie fantascientifiche, vengono esplicitati da Lerner.
4.4 L’alternativa del plasma
È ovvio che anche per Lerner la problematica fondamentale della cosmologia contemporanea è la creazione implicita del tempo insieme al Big Bang. In questo senso la soluzione che egli adotta per abolire il problema del tempo va nella stessa direzione della soluzione adottata dal modello dello Stato Stazionario, differenziandosene però in modo peculiare. Il presupposto, di derivazione materialista, da cui Lerner parte, è che l’universo sia temporalmente infinito e la materia eterna ad esso. Mentre il modello dello stato stazionario implicava, solamente, uno spostamento della contraddizione affermando una creazione continua di materia dal nulla per poter spiegare l’espansione dell’universo, Lerner trova una soluzione tra l’infinità dell’universo e il suo divenire attraverso gli effetti elettro-magnetici che il plasma provoca nell’universo stesso. In questa sede non è importante descrivere in che modo la teoria del plasma comporti la possibilità di affermare l’eternità dell’universo, ma come una teoria alternativa, comprovata sperimentalmente, possa essere oggi contrapposta all’ortodossia del Big Bang. Se l’una o l’altra si avvicino maggiormente alla verità è un problema di cui si dovranno occupare gli scienziati di domani.
CONCLUSIONI
“C’è qualche salvezza? Essa c’è in primo luogo e soltanto se il pericolo è. Il pericolo è se l’essere stesso va all’estremo e capovolge l’oblio che proviene dall’essere stesso. Ma se l’essere, nella sua stessa essenza, man-tenesse l’essenza dell’uomo? E se l’essenza dell’uomo riposasse nel pensare la verità dell’essere? Allora il pensiero deve poetare l’enigma dell’essere. Esso porta l’aurora del pensato nella vicinanza di  ciò che è da pensarsi.”
M. Heidegger, Sentieri interrotti.
Abbiamo visto, nel corso di questa esposizione, come i risultati più attuali della cosmologia contemporanea permettano di identificare la stessa come l’ultima forma storica della metafisica. Ciò comporta tutti i problemi gnoseologici che Kant aveva messo in evidenza attuando per la prima volta una critica serrata alla metafisica intesa come forma di conoscenza. Le critiche che Kant aveva rivolto alla metafisica sono, in un certo senso, valide anche per la cosmologia. Le critiche, però, non servono a cambiare l’essenza di un ragionamento, ed è in questo senso che la cosmologia è in realtà una forma di “metafisica scientificizzata.”
Queste considerazioni ci hanno permesso di introdurre un nuovo termine adatto a definire in modo più appropriato ciò che la cosmologia è in realtà oggi, ovvero una metacosmologia. La legittimità di quest’atto semantico spero si sia potuta scorgere dalle argomentazioni che ho adottato in questa tesi.
La cosmologia del Big Bang, se vera, con ci dice solamente come l’universo è nato, ma ci prefigura, anche, una sua possibile fine. Come ogni teoria della nascita, anche quella del Big Bang, prevede delle teorie della morte. La seconda legge della termodinamica prevede che l’entropia dell’universo sia destinata ad aumentare costantemente; in altre parole, il calore totale dell’universo deve inesorabilmente  progredire verso un equilibrio termodinamico, ovvero verso un freddo assoluto.  L’universo potrebbe morire di un lento ma inesorabile congelamento. L’alternativa a questo stillicidio di morte è una fine violenta. La possibilità che l’universo, un giorno, possa invertire l’attuale espansione per contrarsi in una nuova singolarità iniziale di calore infinito (Big crunch) è altrettanto possibile come la prima alternativa. L’unica cosa certa è che l’universo, per come lo conosciamo noi, avrà prima o poi una fine.(Verrebbe da ridere sul fatto che se la cosmologia ha molte incertezze sul come è nato l’universo  ha altrettante certezze su come finirà).
Mentre sto scrivendo queste ultime righe, sopra la mia testa, sta girando da circa due mesi, ad un’altezza 1,5 milioni di chilometri una sonda, la MAP (Microwave anisoptropy probe). MAP dovrà portare a compimento quello che aveva iniziato la sonda COBE nel 1989 ovvero disegnare uno secenario più dettagliato della radiazione cosmica di fondo che è una delle prove maggiormente a favore della teoria del Big Bang. In più MAP dovrebbe essere in grado di calcolare la quantità di materia presente nell’universo e quindi di prevedere se, nel caso ci fosse materia sufficiente, ad una futura contrazione dell’universo nel Big Crunch, oppure, in caso contrario, ad un'espansione eterna e di conseguenza ad una morte glaciale per massima entropia.  Non so quali tipi di risposte offrirà la sonda MAP, ma sono sicuro che le domande a cui condurrà saranno sicuramente più numerose delle risposte che offrirà.
Per concludere questa tesi mi servirò, paradossalmente, della poesia. In un certo senso la scienza deve fare tesoro degli insegnamenti della poesia. Leopardi con la sua poesia “La Ginestra” arrivava alla conclusione che, pur sapendo dello scacco inevitabile della sconfitta esistenziale finale, l’uomo deve continuare a lottare fino alla fine contro un mondo ostile che avrà sempre la meglio. Lo steso vale per la ragione che deve lottare contro l’irrazionale da cui parte e a cui giunge: ”Vale quanto meno la pena di tentare di costruire una teoria metafisica, che riduca in parte l’arbitrarietà del mondo; ma in ultima analisi una spiegazione razionale del mondo, intesa come un sistema chiuso e completo di verità logiche, è quasi certamente impossibile. Siamo esclusi dalla conoscenza ultima per opera di quelle stesse regole del ragionamento che ci predispongono a cercare una simile spiegazione.”  È arrivato forse il momento di ritornare sui nostri passi e ripercorrere all’indietro quel sentiero che sapevamo interrotto ma che abbiamo deciso d’intraprendere ugualmente. Il sentiero si apriva con una domanda “Perché l’universo e non il nulla?” e non possiamo fare altro che scrivere, là dove il sentiero si è interrotto, “Perché l’universo e non il nulla?”.
La verità ci è preclusa dalla verità nella quale siamo gettati!
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